Angelo Mai (1853-1854)

 

Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 67, pp. 517-520 edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.

Nacque il 7 marzo 1782 a Schilpario, presso Bergamo, da Angelo e da Pietra di Antonio Mai dei Battistei. Il padre era un modesto carbonaio, ma la famiglia era abbastanza agiata. II parroco del paese, G. Grassi, che lo tenne a battesimo, ne coltivò le prime inclinazioni religiose. Il M. compì gli studi elementari a Clusone sotto la guida del sacerdote A. Cossali e nel 1796 passò al seminario vescovile di Bergamo, dove studiò retorica con il professor Gambirasio, elegante verseggiatore. Il direttore del seminario, L. Carrara, lo affidò all’arciprete della cattedrale, L. Mozzi, che lo seguì e lo sostenne.

Alla fine del 1797, all’arrivo dei Francesi, le scuole del seminario furono chiuse e il M. tornò a Schilpario, da dove, insieme con quattro condiscepoli, si recò a Colorno, in provincia di Parma, dove i gesuiti avevano aperto una casa. Nel 1804 il M., per interessamento di padre J. Pignatelli Fuentes, fu inviato a Napoli a insegnare umanità e retorica nel collegio aperto dai gesuiti con il sostegno della regina Maria Carolina Il 24 nov. 1804 il M. scrisse alla madre di essere arrivato a Napoli il 12 novembre, e di aver preso l’abito dei gesuiti il 20 dello stesso mese.

Dopo la fuga dei Borboni da Napoli (gennaio 1806), il M. si recò a Roma, dove insegnò al Collegio romano. In seguito l’amministratore apostolico (dal 1807 vescovo) della diocesi di Orvieto, G. B. Lambruschini, lo chiamò nella città umbra, dove il M. arrivò il 18 sett. 1806. Due giorni dopo fu ordinato suddiacono, e il 20 ottobre sacerdote. Di tale soggiorno il M. tenne un diario dal settembre 1806 (Epistolario, a cura di G. Gervasoni, pp. 350-362); in quel periodo approfondì lo studio dell’ebraico con il gesuita spagnolo R. Menchaca, che lo introdusse alla lettura dei palinsesti.

Il M. apprese così che con l’uso di una spugna imbevuta di acido gallico, estratto dalle noci di galla polverizzate e inumidite, si poteva rendere visibile l’inchiostro sbiadito del testo abraso e riportare alla luce antiche e preziose testimonianze.

Giunto a Roma per sostenere l’esame di teologia e di filosofia, fu costretto da un editto di Napoleone che imponeva a ogni suddito del Regno Italico di tornare nella sua provincia natale, a mettersi in viaggio per Milano, dove visse per qualche anno in un povero alloggio nei pressi di S. Ambrogio. Il 16 dic. 1810 fu ammesso, per interessamento del conte G. Mellerio, tra gli scrittori della Biblioteca Ambrosiana per la classe delle lingue orientali, ufficialmente come dottore della Biblioteca, e vi rimase fino all’inizio dell’autunno 1819. Tra le amicizie di quegli anni va ricordata quella con R. Lambruschini, con cui il M. aveva consuetudine dai tempi di Orvieto e con il quale tenne una corrispondenza che si infittì durante le persecuzioni e l’esilio del Lambruschini (1810), dopo l’invasione francese dello Stato pontificio e l’arresto di Pio VII, avvenuto tra il 5 e il 6 luglio 1809.

Del progresso dei suoi studi filologici il M. dava informazione al gesuita spagnolo G. Andrés il 30 marzo 1813: «io mi rivolsi ad esaminare per ordine i Codici di questa insigne Ambrosiana. Oh, che ricchezze in ogni lingua e materia! Ho trovate varie cose rare e importanti, e ne ho fatto memoria. Quanti progetti mi si presentavano alla mente!» (Epistolario, p. 77).

Gli eccezionali ritrovamenti e recuperi di lì a poco operati dal M., prima alla Biblioteca Ambrosiana e in seguito (dal 1820) alla Biblioteca Vaticana, non sono da attribuire solo a circostanze fortunate, ma furono il frutto di una ricerca sistematica, di una costante e intelligente inclinazione e applicazione all’indagine.

Tuttavia, forse per la fretta o per mancanza di adeguate informazioni, il M. andò incontro a qualche vero e proprio infortunio, come il trattamento chimico dei palinsesti, spesso poco conservativo, la discussa attribuzione del Dionigi o l’attribuzione di un’opera di G. Gemisto Pletone a Filone Ebreo. Allora e successivamente molte critiche sarebbero state rivolte alla sua limitata conoscenza del greco.

Nel 1813, a Milano, il M., mantenendo l’anonimato, pubblicò dai codici ambrosiani la versione latina dell’orazione di Isocrate sulla Permutazione (Oratio de permutatione, cuius pars ingens primum graece edita ab And. Mustoxyde, nunc primum latine exhibetur ab anonymo interprete, qui et notas et appendices adiunxit). L’anno dopo riuscì a leggere in un antico palinsesto, sotto i versi di Sedulio, poeta latino del V secolo, i frammenti inediti di sei orazioni di Cicerone: Pro Flacco, Pro Scauro, Pro Tullio, In Clodium et Curionem, De rege Alexandrino e De aere alieno Milonis. Al 1815 risalgono la scoperta di importanti frammenti di Plauto sotto una parte del Vecchio Testamento e l’edizione di un codice di Terenzio del secolo IX.

All’inizio del 1816, sempre a Milano, il M. inviò in tipografia le Antichità romane di Dionigi dì Alicarnasso: Romanorum antiquitatum pars hactenus desiderata [titolo nel volume preceduto da quello greco] nunc denique ope codicum Ambrosianorum ab Angelo Maio Ambrosiano collegii doctore quantum licuit restituta. Di quest’opera, pubblicata con dedica all’imperatore, il governo acquistò 22 esemplari dietro un compenso di 660 franchi: una somma significativa, ma certamente non generosa.

Nel 1815 a Milano erano intanto apparse le Epistole frontoniane, in una magnifica edizione comprendente lettere inedite di Antonino Pio, di Marco Aurelio, di Lucio Vero e di Appiano, con il titolo M. Cornelii Frontonis opera inedita latina et graeca, cum Epistulis item ineditis Antonini Pii, M. Aureli, L. Veri et Appiani, nec non aliorum veterum fragmenta.

L’edizione del Dionigi suscitò consensi (P. Giordani) e dissensi (S. Ciampi), ma fu il Frontone che, malgrado una ricostruzione non sempre affidabile del testo originale, provocò enorme scalpore perché l’antico oratore, di cui erano andate perdute le opere, era stato maestro di Marco Aurelio, e la sua oratoria era stata giudicata dagli antichi non inferiore a quella di Cicerone.

A Milano il M. entrò in contatto con famiglie dell’aristocrazia cittadina, come i Mellerio, i Melzi, i Reina, che possedevano ricche biblioteche. Tenne inoltre corrispondenza con i maggiori filologi ed eruditi europei, pur restando in apparenza un solitario, quasi un segregato. Tuttavia, nella prima metà dell’ottobre 1817, il M. ricevette a Firenze la visita di A. Pezzana, benemerito bibliotecario della Parmense. Fra loro nacque un’intesa cordiale che diede vita a una collaborazione fatta di scambi di libri e di notizie, nonché a un lungo e intenso carteggio.

Nel 1819, su consiglio di Pio VII, il M. lasciò l’Ordine dei gesuiti per il posto di primo custode della Biblioteca apostolica Vaticana. Partito da Milano ii 31 ottobre, giunse a Roma il 7 novembre: «entrava a dirigere la Biblioteca Vaticana, desiderato dalle gerarchie e dal Sommo Pontefice, ma non senza qualche delusione né diffidenze di collaboratori e fors’anche di altre persone del mondo ecclesiastico e studioso del tempo» (Gervasoni, A. M., p. 19). Il 23 dicembre il M. donò al papa due elegie in lingua latina e soprattutto annunciò, con una lunga relazione, la scoperta del De re publica di Cicerone, opera assai apprezzata nell’antichità ma conosciuta in epoca moderna solo in minima parte (il Somnium Scipionis) e fino ad allora cercata senza esito. Il M. ne scoprì una consistente porzione (gli incipit del libro II e del III e l’explicit del II) ripulendo un palinsesto contenente un commentario ai salmi agostiniani e ne fece un’edizione, pubblicata a Roma e a Stoccarda nel 1822, che era la prova della raggiunta maturità di filologo.

Non mancò chi attribuì questa come le altre scoperte a una buona dose di fortuna (un rilievo ripreso da P. Treves, secondo il quale solo la fortuna, più ancora che la perizia tecnica, avrebbe contraddistinto l’attività del Mai).

Tuttavia grandi furono il clamore e l’attesa suscitati dall’annuncio, tanto che all’inizio del 1820 G. Leopardi compose la canzone Ad Angelo Mai quand’ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica, grazie alla quale il nome del M. non fu più monopolio dei classicisti, ma fu conteso fra questi e i romantici. Secondo la canzone leopardiana, il riscatto e il risorgimento dell’Italia erano favoriti e alimentati dalle scoperte del M., che venivano a scuotere gli Italiani dalla loro viltà e dal loro torpore. Va detto, peraltro, che proprio Leopardi, il quale già si era servito delle edizioni del M. per le sue versioni dei classici latini e nel 1822 gli aveva fatto visita a Roma, corresse alcune lezioni errate del De Re publica, così come aveva fatto con il Frontone, a proposito del quale è stato notato che, ripubblicandolo nel 1823, il M., con «un modo di procedere poco corretto [...] accolse buona parte delle osservazioni del Leopardi senza ricordare una volta il loro autore neppure nella prefazione» (Pacella, p. 458).

L’8 dic. 1821 il M. scrisse una lettera a un cardinale (forse E. Consalvi), che aveva chiesto il suo parere sulle riforme degli studi, nella quale il M. si rivela più avanzato e moderno di altri letterati dell’epoca: auspicava che le Università pontificie si uniformassero a quelle germaniche, specializzandosi nello studio delle lingue classiche, con letture ampie e dirette dei grandi autori e che affiancassero lo studio del diritto civile a quello canonico dando spazio anche alle discipline scientifiche.

Tra le altre edizioni del M. vanno ricordati la versione latina dall’armeno della Cronica d’Eusebio: Chronicorum canonum libri II, A. Maius et J. Zohrabus ediderunt (Mediolani 1818), e il Catalogo de’ papiri egiziani della Biblioteca Vaticana e notizia più estesa di uno d’essi, con breve previo discorso e con susseguenti riflessioni (Roma 1825). Una menzione merita l’orazione letta per il conclave apertosi il 15 dic. 1830, che avrebbe eletto papa Gregorio XVI, poi pubblicata con il titolo De eligendo pontifice maximo Sermo ad S.R. Ecclesiae cardinales sacra comitia obituros habitus in basilica Vaticana postridie idus decembris anno 1830 (Romae 1831).

Il M. fu custode della Biblioteca Vaticana fino al 16 ag. 1833, allorché fu nominato segretario della S. Congregazione di Propaganda Fide. Di rilievo fu inoltre il suo impulso all’organizzazione di una tipografia vaticana moderna, con ricchezza di mezzi e nitidezza e precisione di caratteri. Anche in seguito il M. non trascurò la sua opera di ricerca e di sistemazione, che portò alla Scriptorum veterum Nova collectio (I-X, 1825-38), ai Classici auctores ex codicibus vaticanis (I-X, 1828-38), allo Specilegium Romanum (I-X, 1839-44), alla Nova Patrum bibliotheca (I-VII, 1852-54).

Già riservato in pectore nel concistoro del 19 maggio 1837, il M. fu elevato alla porpora da Gregorio XVI il 12 febbr. 1838. Nell’ottobre del 1842, accompagnato da un paio di prelati e da un segretario, si recò in Sicilia (Catania, Messina, Siracusa). Un altro lungo viaggio fu quello che il M. iniziò per motivi di studio il 26 sett. 1844 nel Nord Italia, con sosta anche a Milano dal 26 al 28 ottobre.

Durante la Repubblica Romana del 1849 il M. non lasciò subito la città. Si racconta che i repubblicani, per riguardo allo «scopritor famoso» del De Re publica ciceroniano, affiggessero sul portone di palazzo Altieri (dove il M. visse negli anni romani, ospite del cardinale L. Altieri), un avviso perché non fosse disturbato in alcun modo. Quando il M. si decise a lasciare Roma, non si recò a Gaeta al seguito del papa, bensì a Napoli, dove poté studiare i codici della Biblioteca borbonica. Rientrò a Roma dopo il ritorno del papa (aprile 1850).

Fra i vari riconoscimenti ufficiali, fu ammesso come socio di vari istituti e accademie, come l’Istituto di Francia, l’Accademia reale di Berlino, quelle di Monaco, Stoccolma, Vienna e di Amsterdam.

II 20 ott. 1853 ad Albano Laziale il M. fece testamento: destinò del denaro ai poveri di Schilpario, ai suoi segretari e servitori e stabilì che la sua ricca biblioteca fosse stimata e venduta; in caso di acquisto da parte del papa, sarebbe stata venduta alla metà del prezzo. E così avvenne.

Il M. mori l’8 sett. 1854 ad Albano, dove si era recato forse per sfuggire al colera che in quei giorni mieteva vittime a Roma.

Gli furono tributati solenni funerali sia a Bergamo, nella basilica di S. Maria Maggiore, sia a Roma dove fu seppellito, alla presenza di Pio IX e di numerosi cardinali, nel transetto sinistro della basilica di S. Anastasia (di cui il M. aveva il titolo presbiteriale), in un superbo sarcofago, con epitaffio da lui stesso dettato.

Lo ammirarono, oltre a Leopardi (come si evince dai suoi Scritti filologici, 1817-1832, a cura di G. Pacella – S. Timpanaro, Firenze 1969, ad ind.), l’autore anonimo del Ragionamento intorno al primo volume della Collezione vaticana di scrittori antichi, in Giornale arcadico, 1826, t. 29, pp. 373-401; 1827, t. 34, pp. 217-227 e soprattutto Giordani (L’Alicarnasseo del M., 1816, in Opere, X, Milano 1856, pp. 5-13). Giordani riconosceva che la dedica del Dionigi all’imperatore era stata fatta dal M. «senza viltà né arroganza» e sul metodo di lavoro si soffermava sullo scritto Sul Dionigi trovato dall’abate Mai. Lettera al chiarissimo abate Giambattista Canova, in Opere, cit., pp. 147-206, in particolare pp. 151, 206. I motivi dei lodatori furono chiariti e riassunti da A. Levati, Sulla storia della letteratura italiana nei primi venticinque anni del secolo XIX, Milano 1831 (I manifesti romantici del 1816 ecc., p. 161) e in G. Corniani I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento … colle aggiunte di G. Ugoni e S. Ticozzi e continuato sino a questi ultimi giorni per cura di F. Predari, VIII, Torino 1856, pp. 239 ss., dove sono riportate notizie fino al 1840.

Fra i detrattori vi erano soprattutto i romantici, con in testa P. Borsieri, che nel secondo capitolo delle sue Avventure letterarie di un giorno o consigli di un galantuomo a vari scrittori (apparse a Milano il 19 sett. 1816), aggredì la maniera accademica e superficiale di affrontare le questioni storiche e letterarie della Biblioteca Italiana, criticando gli eruditi e i pedanti perditempo, fra i quali il M., le cui lodi riteneva sproporzionate ai meriti: «Dunque perché il sig. Mai sa di latino e di greco, ed ha la fortuna di frugare in una Biblioteca in cui tutti non frugano; perché ha la pazienza di rilevare dai vecchi codici i caratteri mezzo cancellati o dalla barbarie dei monaci o dalla mano del tempo, sarà egli per questo un grand’uomo da far trasecolare l’Europa e insuperbire l’Italia?» (I manifesti romantici del 1816 e gli scritti principali del Conciliatore sul romanticismo, a cura di C. Calcaterra, Torino 1964, pp. 157 s.). In particolare sul Dionigi si alimentò una dura polemica suscitata dal celebre erudito pistoiese Ciampi, che nella seduta del 21 sett. 1816 dell’Ateneo italiano di Firenze tenne un discorso in cui criticava l’opera del M., sostenendo che l’epitome non era opera diretta di Dionigi, ma era stata messa insieme da un compilatore posteriore. Va anche dato atto al M. di aver pubblicamente accolto questa interpretazione, perché dopo tante polemiche, nei suoi Scriptorum veterum Nova collectio, II, pp.465-526 (Roma 1827), presentò il Dionigi appunto come una antologia di estratti dionisiani, compilata da un autore dei bassi tempi.

La questione fu riaperta verso la metà del Novecento dal rinnovato interesse per la filologia di Leopardi. Treves, alludendo a quanti, sul ricordo della giovanile canzone leopardiana, tendevano a esaltare l’italianità, o addirittura il patriottismo del M., parlò di «fraintendimento antistorico», portandone come esempio insigne G. Carducci. Di questo scrittore però Treves ricordò anche il giudizio sferzante che si legge in una lettera del 18 febbr. 1882, indirizzata a F. Martini per declinare l’invito a scrivere un articolo in occasione del centenario della nascita del M., da Carducci giudicato un «poco di buono» (G. Carducci, Lettere, XIII, 1880-1882, Bologna 1951, p. 263).

Uno studioso non certo indulgente né simpatizzante per il M. come Timpanaro (1955, p. 136) afferma che il M. «era, nell’intimo, assai più un abate settecentesco che un prelato della Restaurazione» e gli riconosce il merito d’un comportamento decoroso durante la Repubblica Romana e quello di aver nutrito idee non arretrate in fatto di riforma degli studi.

Altre opere: La campagna felice di Napoli. Stanze pubblicate nelle faustissime nozze della signora contessa Carolina Borromeo col signor conte Carlo Castiglioni, Milano 1815; Cantata in onore di s. Luigi, scritta nel maggio e giugno 1797 (in Epistolario, pp.331-333); I vicendevoli uffici della religione e delle arti. Meriti di Pio VII del clero verso la letteratura, Roma 1824; Discorsi di argomento religioso, ibid. 1835; I pastori al presepio del Signore, e L’antica città di Roma nel Natale del Sommo Re Gesù Cristo (pubblicate per la prima volta e tradotte dal latino in italiano da Gervasoni nel 1950, in L‘Eco di Bergamo, 28 dic. 1950).

FONTI E BIBL.: Necr., in Annali universali di statistica, settembre 1854, pp. 337-340. La biblioteca e le carte del M. sono conservate nel Fondo Mai della Biblioteca apostolica Vaticana. E. Zerbini, A. M. e G. Leopardi, in Nel primo centenario di A. M., Bergamo ,1882, pp. 91-148; F. Ferri Mancini, A. M., in Id., Saggi letterari, Roma-Torino-Napoli 1899, pp. 241-283; G. Gervasoni, Leopardiana. G. Leopardi filologo e poeta nei suoi rapporti con A. M., Bergamo 1934; Id., Il cardinal M. nel 1821 per una riforma scolastica, in L’Eco di Bergamo, 8 dic. 1950; A. Mai, Epistolario, I, giugno 1799 - ottobre 1819, a cura di G. Gervasoni, Firenze 1954; M. Batllori, Tre ex gesuiti spagnoli nella formazione di A. M., Bergamo 1954; G. Gervasoni, A. M., Bergamo 1954, pp. 81-86; A. Ciavarella, A. Pezzana corrispondente del M., in Atti del Congresso per il primo centenario della morte, in Bergomum, n.s., 1954, vol. 28, pp. 1-261; S. Timpanaro, La filologia di G. Leopardi, Firenze 1955, ad ind.; P. Treves, Lo studio dell’antichità classica nell’Ottocento, Milano-Napoli 1962, pp. 347-397; G. Pacella, La filologia di G. Leopardi tra ‘700 e ’800, in Leopardi e l’Ottocento. Atti del II Convegno internazionale di studi leopardiani, Recanati… 1967, Firenze 1970, pp. 455-468; Il carteggio Mai – Pezzana (1818-1853), a cura di A. Ciavarella, Parma 1973; S. Timpanaro, A. M., in Id., Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Pisa 1980, ad ind. (in partic. pp. 248 ss.); Epistolario di A. M.: ripresa, in A. M. nel II centenario della nascita …., a cura di J. Ruysschaert – L. Cortesi, Bergamo 1983, pp. 53-303; A. Ferrari, A. M. e la cultura subalpina del primo Ottocento, in Atti del Convegno, … 1983, a cura di D. Rota, Bergamo 1985, pp. 91 ss.; L. Polgár, Bibliographie sur l’histoire de la Compagnie de Jésus, 1901-1980, III, Le personnes, t. 2, Roma 1990, ad vocem; D. Rota, Cultura, politica, diplomazia nella Restaurazione. A. M., G. Mellerio, A. Castiglioni, Firenze 1991; Enc. Italiana, XXI, p. 947.

A. CARRANNANTE


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