Girolamo Casanate (1693-1700)

 

Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 21, pp. 144-147 edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.

Nacque a Napoli il 13 febbr. 1620 da Mattia e Giovanna Dalmau.

Quest’ultima apparteneva a un’antica famiglia catalana molto nota in Spagna e già imparentata con i Casanate. Dopo essersi stabilito a Napoli nel 1619, il padre fece carriera nell’amministrazione (presidente della Regia Camera della Sommaria, membro del Collaterale, reggente di cancelleria) e fu incaricato occasionalmente di svolgere diverse missioni diplomatiche.

Intelligente e devoto, il C. fu attratto dalla carriera ecclesiastica e si mise in contatto con i domenicani. Nel 1633 prese la tonsura, probabilmente per godere di qualche beneficio ecclesiastico. Per compiacere il padre, studiò diritto a Napoli, ottenne nel 1635, all’età di quindici anni, il titolo di dottore in utroque (ms. Casan. 4343) ed esercitò l’avvocatura. Al seguito del padre, che si recò a Roma per una missione diplomatica, durante la guerra di Castro, conobbe il cardinale G. B. Pamphili, che di li a poco sarebbe divenuto papa con il nome di Innocenzo X, e ne fu invitato ad abbracciare definitivamente la carriera ecclesiastica.

I successi del C. furono immediati: cameriere d’onore nel 1645, governatore della Sabina nel 1648, di Fabriano nel 1652, di Camerino nel 1653, anno in cui ebbe la fortuna di incontrare il futuro Clemente X, Emilio Altieri, allora vescovo del luogo, e di ricevere Cristina, ex regina di Svezia, che si recava a Roma. Nel 1656, ricevette una nuova promozione: il governo di Ancona, dove rimase fino al 1658. Nel settembre dello stesso anno ripartì per Malta come «inquisitore» o nunzio, posto di per sé senza importanza, ma che, per essere stata la prima tappa della brillante carriera di Fabio Chigi (divenuto papa nel 1655 con il nome di Alessandro VII), poteva riuscire di buono auspicio. Lasciò l’isola il 7 giugno 1663 per rientrare in Curia dove fu ricevuto con onore sia da Alessandro VII sia dalla sua corte (fra cui particolarmente il cardinale gesuita Sforza Pallavicino e Agostino Favoriti, abbreviatore e segretario del Sacro Collegio) nonché dalla maggior parte degli accademici che si meravigliarono della sua cultura. In attesa di una destinazione migliore, fu assegnato alla Segnatura di grazia e giustizia come referendario votante. Seguirono altri incarichi: consultore del S. Uffizio e del concistoro; governatore di Borgo nel 1665‑67; segretario di Propaganda nel 1666‑1668. Dopo la morte di Alessandro VII, fu eletto governatore del conclave. Il nuovo papa Clemente IX (Giulio Rospigliosi, un amico di vecchia data) lo nominò nell’aprile 1668 assessore al S. Uffizio, carica che dal 1635 al 1654 era stata esercitata da Francesco Albizzi, il grande avversario del giansenismo. Il C. dovette occuparsi subito della questione in vista della preparazione della «Paix de l’Eglise», voluta da Luigi XIV e dal nipote del papa, cardinale Giacomo Rospigliosi, ma contrastata da Albizzi e dai suoi seguaci. Questo trattato diede alla Francia dieci anni di pace, dal 1669 al 1679.

Nel 1673 aggiunse agli incarichi quello di segretario della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari. Clemente X gli conferì il 12 giugno 1673 ii cappello cardinalizio (con dispensa «super eo quod non erat in ordinibus constitutus»: Arch. Segr. Vaticano, Gler. Brevium, ms. 1584, f. 752). Solo allora, all’età di 53 anni ricevette le ordinazioni e il titolo di S. Maria in Campitelli, che scambiò nel 1675 con quello di S. Cesareo e nel 1682 con quello di S. Agata. Quando passò all’ordine dei sacerdoti, egli optò nel 1686 per i SS. Nereo e Achilleo, e nel 1689 per S. Silvestro in Capite. Per il suo mantenimento ricevette, oltre alla chiesa di Tricarico in Basilicata che possedeva da molto tempo, diverse prebende, tra cui la prevostura di S. Pietro di Monforte nella diocesi di Milano. Inoltre ebbe il protettorato di varie congregazioni religiose.

Il nuovo cardinale fu presto associato a diverse congregazioni: S. Uffizio, Propaganda, Vescovi e Regolari, Concilio e Riti. Più tardi, divenne anche membro della Congregazione (o commissione) della «Régale et des Affaires de France». Sotto Innocenzo XI fu prefetto della Congregazione dello stato de’ Regolari; della Visita; della Fabbrica di S. Pietro; di Malta; dei Vescovi eligendi. Nel 1698 divenne inoltre prefetto del Concilio e dell’Indice. Nel frattempo assunse provvisoriamente incarichi prolungati come prefetto della Segnatura di giustizia e del provicaniato. Nel 1693 divenne bibliotecario di S. Romana Chiesa (e acquistò nel 1696 circa 120 manoscritti provenienti dai teatini di S. Andrea della Valle).

Com’è evidente, durante i lunghi anni della sua attività di curialista, egli prese parte ad una infinità di cause diverse, riguardanti tutte le province. Da uomo metodico quale era registrava tutte le cause esaminate nelle diverse congregazioni. Queste note costituiscono una gran parte dei manoscritti della «Stanza del Casanate», che fa parte della biblioteca omonima (Inventario, n. 34: Positiones causarum agitarum et decisarum in Signatura Iustitiae, 1663‑1666, tt. 1‑76; Positiones… in Congregatione Concilii, 1677‑1690, tt. 78‑124; Omnes restrictus causarum decisarum a Congregatione S. Concilii, 1679, tt. 125143; Positiones et libella causarum agitarum in Congregatione super episcopis et regularibus, 1677‑1690, tt. 144‑203; Causae similes agitatae et decisae in S. Congregatione S. Officii tempore cardinalatus… distributae per alphabetum, tt. 264‑270; Scripturae seu positiones causarum in quibus… C. deputatus fuit iudex, distributae per dioeceses ordine alphabetico, tt. 274‑281). In virtù dei suoi interessi, della sua posizione e delle sue inclinazioni, il C. ebbe una vasta corrispondenza conservata abbastanza bene in una quarantina di registri di cui D’Angelo fornisce l’inventano (vedi anche British Museum, Add. mss. 8592).

Ebbe una cultura essenzialmente giuridica, ma come gli accademici del suo tempo s’interessò a tutto, e restò perciò un dilettante di buona cultura generale. Se mai studiò la teologia (il presunto dottorato, ottenuto nel 1635, è inammissibile) fu solo nella età matura, in vista della sua ordinazione, e la studiò probabilmente in un manuale di livello elementare. Ciò nondimeno, sarebbe errato ridurre la sua cultura all’arte di redigere una scheda bibliografica, come sostennero i suoi avversari. L’esperienza delle congregazioni gli dette una conoscenza superiore alla media delle materie ecclesiastiche. Ma, da buon dilettante e collezionista, non pubblicò niente. Le memorie e i discorsi che gli sono attribuiti sono stati probabilmente redatti dai suoi segretari, sotto il suo controllo.

Prelato degno e coscienzioso, il C. si attenne alle fonti dottrinali più solidamente stabilite e perciò non apprezzò il molinismo, dottrina che sembrava contraria alla tradizione; egli era portato invece verso il tomismo, che s’ispirava all’agostinismo ed era approvato dalla Chiesa. Come assessore del S. Uffizio, procurò ad Enrico de Noris il permesso di pubblicare la sua Historia Pelagiana. Si oppose al probabilismo e ai suoi eccessi, che si manifestarono nel lassismo. Come consultore, contribuì alla condanna delle proposizioni lassiste nel 1665‑1666 e, come cardinale‑giudice, a quelle del 1679. Egli si oppose invece alla condanna delle proposizioni rigoriste, denunciate dagli antigiansenisti nel 1679, e che saranno condannate nel 1690 sotto Alessandro VIII. In seguito, nel 1692 e nel 1694 insorse contro tentativi simili che difatti non ebbero conseguenze. Con lo stesso intento, pose il suo veto ai riti cinesi, non senza raccomandare tuttavia ai colleghi delle missioni l’insegnamento delle lingue indigene. La validità o meglio la non validità delle ordinazioni anglicane lo preoccupava e si rammaricava per il divieto fatto ai fedeli di leggere le Sacre Scritture in lingue volgari. Non amava i gesuiti e cercò di impedire la beatificazione di Bellarmino, non essendo del tutto convinto dell’eroicità delle sue virtù. E si schierò contro i gesuiti quando si trattò della mistica di Molinos, Petrucci, Malaval e Fénelon. Per quanto riguarda il giansenismo, il C. fu assai più accomodante del suo collega Albizzi: senza voler rimettere in discussione le decisioni precedenti caldeggiava interpretazioni meno rigide. Non credeva all’importanza del «fatto», quando viene accettato il «diritto» e collaborò alla «Paix de l’Eglise». Per impedire che il giuramento antigiansenista di Alessandro VII incidesse sul punto preciso del fatto, desiderava che si ritornasse al significato ovvio delle cinque proposizioni. Cercò di salvare l’AmorPoenitens di J. B. Neercassel, il Methodus absolvendi et retinendi peccata di G. Huygens, il decreto di Berghes, arcivescovo di Malines, concernente le processioni e le esposizioni del Santissimo Sacramento, aspramente attaccato dal clero regolare. Alla morte di Arnauld, osò farne l’elogio in pieno concistoro, auspicando che i libri di questo teologo venissero cancellati dall’Indice. Difese Pietro Codde, vicario apostolico dell’Olanda ed è significativo che la sospensione di Codde sia stata pronunciata solo nel 1702, due anni dopo la sua morte.

Negli affari di Francia, il C. assunse un atteggiamento intransigente, difendendo il cardinale Altieri e il segretario Casoni, denigrati l’uno davanti alle corti d’Europa, l’altro davanti a quella di Roma; si oppose energicamente a Luigi XIV nelle questioni dell’affaire dei quartieri, della «Regale», degli articoli dell’assemblea del clero, dell’appello al futuro concilio, della confermazione dei vescovi che da molto tempo venivano nominati dal re ma rifiutati dal papa. Su questi argomenti presentò ai papi pressanti istanze e collaborò alla redazione dei documenti ufficiali, subendone le conseguenze. Papabile, non fu accettato dai cardinali devoti alla Francia e Luigi XIV, che lo considerava il suo principale avversario in Curia, gli oppose un costante veto.

Mecenate per natura, il C. apprezzava i buoni studi, incoraggiava gli autori e, usando della sua autorità di bibliotecario, procurava loro le informazioni sulle fonti storiche, le copie dei documenti o l’accesso alle raccolte. Tra gli italiani che approfittarono della sua protezione, possiamo citare Enrico de Noris, Ottavio Ferrari, Gregorio Barbarigo, Giovanni Cinelli. Come sottoprefetto della Biblioteca Vaticana chiamò Emanuele Schelstrate, canonico di Anversa; morto questo, egli si assunse il compito di continuare la pubblicazione delle sue opere. Diede la possibilità all’agostiniano Cristiano Lupus di copiare e pubblicare il famoso manoscritto di Montecassino, che conteneva documenti sconosciuti sul concilio di Efeso. In Francia incoraggiò il conventuale Antonio Pagi, continuatore del Baronio, Luigi Thomassin, dotto oratoriano che invitò a Roma come sottoprefetto della Vaticana, Stefano Baluze, segretario e bibliotecarlo, grande erudito, poligrafo, che aveva bisogno di aiuto per la sua nuova raccolta sui concili e soprattutto desiderava consultare il manoscritto di Montecassino. La sua ammirazione andava soprattutto alla Congregazione benedettina di S. Mauro dove era fiorita una erudizione di alto livello: Luca d’Achéry, Mabillon e Thierry Ruinart poterono fare appello alla sua inesauribile collaborazione. Dietro suo invito, Mabillon e Michel Germain intrapresero l’IterItalicum e le sue raccomandazioni aprirono loro non poche raccolte. Lo stesso favore rese ai bollandisti aiutando Conrad Jenninck che venne a Roma nel 1697 per ricerche agiografiche e per difendere gli Acta Sanctorum, i cui primi quattordici volumi erano stati appena condannati (1696) dall’Inquisizione spagnola ad istigazione dei carmelitani.

Il suo più grande contributo agli studi fu la sua biblioteca, aperta al pubblico per testamento sotto la direzione dei domenicani, i quali vi aggiunsero due cattedre e una scuola di tomismo. Arricchita di altre dotazioni, e divenuta proprietà dello Stato nel 1884 questa biblioteca risponde sempre ai desideri del suo fondatore e conserva un fondo di manoscritti preziosi.

Il 5 ott. 1698 il C. fece testamento, al quale aggiunse, il 20 genn. 1699, un codicillo (ms. Casan. 5413). Le proprietà fuori Roma passavano a suo nipote, marchese di Montagano; le altre, con la ricca collezione di opere d’arte (che sarebbe stata venduta e dispersa nel 1708) furono lasciate ai domenicani come dotazione per la sua biblioteca.

Morì a Roma il 3 marzo 1700.

Il giorno seguente ebbero luogo le esequie in S. Maria sopra Minerva, e la tumulazione nel Laterano (sulla parete fra la quarta e la quinta cappella della navata sinistra) sotto la tomba realizzata dallo scultore francese Pierre Legros, lo stesso che scolpì la grande statua che, dal 1708, orna il salone della Biblioteca Casanatense. Tra gli elogi che gli furono indirizzati è da ricordare quello molto unilaterale di Quesnel: «anche se non ha fatto molte cose per la verità egli era disposto a farle, e ha potuto impedire che fosse fatto un male troppo grande». Da ricordare anche l’elogio più sfumato tributatogli da Saint-Simon: «Roma perse in lui uno dei più illustri cardinali, per la sua pietà, per la sua dottrina, per il gran numero di libri che conservò e per il bene che fece alle lettere».

FONTI E BIBL.: La correspond. d’E. Scheistrate, préfet de la Bibliothèque Vaticane, a cura di L. Ceyssens, Bruxelles‑Rome 1949, ad Indicem; Die Protokolle der Propagandakongr. zu deutschen Angelegenheiten 1657‑1667, a cura di H. Tückle, Paderborn 1972, ad Ind.; R. Coulon, Le mouv. thomiste au XVIIème siècle. Le Rme Père A. Cloche et le card. C., in Revue thomiste, XIX (1911), pp. 421‑444, 628‑650; M. D’Angelo, Ilcard. G. G. (1620‑1700), Roma 1923; J. Orcibal, Le procès des «Maximes des Saints» devant le Saint‑Office, in Arch. ital.perla storia della pietà, V (1968), pp. 409‑536; B. Neveu, Sébastien Joseph du Cambaut de Pontchàteau (1634‑1690)et ses missions à Rome, Paris 1969, ad Indicem; V. Mori, La dispersa raccolta di quadri del C., in Accad. e Bibl. d’Italia, XXXIX (1971), pp. 422‑429; P. Blet, Les assemblées du clergé et Louis XIV de 1670 à 1693, Roma 1972, ad Indicem; J. Bignami Odier‑J. Ruysschaert, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Città del Vaticano 1973, ad Indicem.

L. CEYSSENS


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