Orazio Giustiniani (1646-1649)
Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 57, pp. 354-356 edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.
Nacque, da famiglia genovese, nell’isola di Chio il 28 febbr. 1580. Il padre, Giuseppe, apparteneva al ramo dei Longo in Ughetti; la madre, Despina, al ramo dei Garibaldi. Aveva sei fratelli, tra i quali Giuliano, che divenne frate oratoriano prima di lui, e una sorella, Maria che, stando agli atti del processo di canonizzazione di Filippo Neri, nel 1595, all’età di dodici anni, fu miracolosamente guarita dal santo da una malattia cutanea che l’aveva tormentata per tre anni.
Il G. giunse probabilmente a Roma nel 1595, mentre non sembra probabile l’affermazione del suo biografo, F. Martinelli, secondo il quale vi sarebbe giunto durante il pontificato di Sisto V. Sembra che alla sua educazione e a quella del fratello Giuliano provvedesse economicamente il cardinale Benedetto Giustiniani. Il Martinelli riporta, peraltro, che il G. fu per lo più autodidatta con una straordinaria facilità nell’apprendere. I suoi studi furono soprattutto di filosofia, teologia e diritto canonico.
Dopo la richiesta di entrare a far parte della Congregazione dell’Oratorio già nel 1604 ‑ che sortì un’ammissione provvisoria, perché era già oratoriano il fratello Giuliano e non era permesso che due persone della stessa famiglia ne facessero parte ‑ vi fu ammesso ufficialmente il 30 ag. 1614. La Congregazione lo nominò in seguito prefetto delle cerimonie, per la sua specifica preparazione nel campo liturgico. Il G. fu uno dei promotori della causa di canonizzazione di Filippo Neri ed eresse la prima chiesa in suo onore a Carbognano, nel Lazio, dove gli oratoriani già dal 1583 avevano acquistato parecchi beni immobili, e dove continuarono ad aumentare la loro presenza negli anni successivi.
Il G. si distinse per esemplarità di vita e facoltà oratorie; era apprezzato, oltre che dai parenti Giustiniani, il cardinal Benedetto e il nobile Vincenzo, dai cardinali Francesco e Antonio Barberini. Il primo lo condusse con sé quando celebrò il sinodo di Farfa e lo deputò a sovraintendere tale abbazia, di cui era titolare.
A causa delle sue origini e della sua conoscenza del greco volgare, il G. fu coinvolto soprattutto nelle vicende della Chiesa greca. Il 13 giugno 1627 la congregazione di Propaganda Fide, nella persona del segretario Francesco Ingoli, propose l’invio del G., che era consultore della congregazione, a Costantinopoli, in missione segreta per trattative sull’unione delle Chiese greca e latina con il patriarca Cirillo Lucaris, avverso alla Chiesa cattolica e sospetto di adesione alle idee calviniste, ma il G. rifiutò l’incarico, soprattutto per non lasciare la Congregazione dell’Oratorio, nonostante i tentativi messi in atto dall’Ingoli per convincerlo. Gli venne quindi proposta la carica di coadiutore con futura successione del vescovo di Chio, dove si era creata una situazione di frattura tra la popolazione e il vescovo, l’anziano e semicieco Marco Giustiniani, accusato di compiere ogni sorta di soprusi. La proposta di nomina venne di nuovo da Francesco Ingoli, e fu reiterata dall’arcivescovo di Nasso, Raffaello Schiattini, il quale, pur conscio dell’antipatia degli abitanti di Chio nei riguardi dei Giustiniani, pensava che tali eccezioni sarebbero cadute di fronte alla fama di integrità che il G. si era già creato. Non si hanno notizie ufficiali di un rifiuto da parte del G., ma in qualche modo anche in questo caso declinò l’incarico. Continuò però a venire ascoltato anche in seguito per tutte le questioni che riguardavano la Chiesa di Chio.
Nel 1635 fu inviato ad Ancona per incontrare il metropolita di Tessalonica Atanasio Patelerio, il quale rivendicava la dignità patriarcale di Costantinopoli, che diceva spettargli per elezione canonica.
Il 21 ag. 1635 era giunta a Roma notizia dello sbarco del Patelerio a Venezia e delle sue intenzioni di giungere a Roma per incontrarsi con il papa e farsi riconoscere legittimo patriarca. Il Martinelli riporta che il Patelerio, con gran seguito, si muoveva per la città e benediceva il popolo con la croce alzata, notizia che aveva creato sconcerto e preoccupazione a Roma. Il patriarcato di Costantinopoli era stato conteso per anni tra il Lucaris, Cirillo Contari, metropolita di Berea e lo stesso Patelerio, i quali negli ultimi anni si erano alternati sul seggio patriarcale, con veri e propri colpi di mano, contestando ognuno la legittimità dell’altro. La Chiesa di Roma non era convinta di appoggiare il Patelerio, anche per non urtare il Contari, che in quel momento deteneva il seggio patriarcale, e valutò con estrema attenzione la situazione, affidandola a una commissione composta dai cardinali A. Caetani senior, B. Spada, M. Ginetti e Antonio Barberini.
La missione del G. fu concertata con l’Ingoli, sempre al suo fianco. Il 14 o 15 Ottobre il G. giunse ad Ancona, dove nel frattempo si era portato il Patelerio, per avvertirlo che per ottenere l’appoggio del papa avrebbe dovuto fare professione di fede cattolica davanti al vescovo di Ancona e per rimandarlo indietro senza diminuire la dignità della Sede apostolica. Il G. eseguì il compito; il Patelerio fece professione di fede e arricchì di nuovi argomenti il processo che si stava tenendo contro Cirillo Lucaris, quello dei tre contendenti che era meno gradito alla Chiesa di Roma; quindi si ritirò, confortato anche da una grossa somma di denaro (1500 scudi) da parte del governatore di Ancona, dirigendosi verso Venezia. Si fermò però strada facendo alla S. Casa di Loreto, dove fu accolto dal governatore monsignor Pietro Martire Merlini, che era stato istruito dal G. di riceverlo con riguardo, ma di non fargli celebrare la messa. Una relazione autografa degli incontri del G. col Patelerio si trova nel ms. 0.99 della Biblioteca Vallicelliana di Roma: in essa è esposto giorno per giorno il resoconto degli incontri, da cui si ricava che essi durarono poco più di dieci giorni.
Il 30 maggio 1630 fu nominato primo custode della Biblioteca apostolica Vaticana da Urbano VIII. Anche in questo caso emerse la sua riluttanza ad accettare onori e cariche: accettò per obbedienza e alla condizione che gli fosse consentito di tornare quando volesse all’Oratorio, soprattutto per pronunciare le sue omelie alle quali teneva molto. Nella Biblioteca Vaticana si impegnò a riordinare il materiale, facendone fare degli indici per renderne più facile la consultazione.
Il G. fu in corrispondenza con il letterato dei Grigioni Paganino Gaudenzi, calvinista convertito al cattolicesimo, almeno dal 1630 al 1648 (cfr. Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat. 1627, cc. 32, 41v 1628, cc. 170‑171v, 588‑589v, 641‑642v; 1629, cc. 101, 175). Da tale corrispondenza emerge una notevole stima reciproca e la volontà del G. di corrispondere ad alcune richieste del Gaudenzi.
Urbano VIII nominò il G. vescovo di Montalto, nel Piceno, su istanza del fratello Giuliano, preoccupato anche per le condizioni di povertà nelle quali viveva il Giustiniani. Fu consacrato il 13 sett. 1640 e si dedicò con impegno ai doveri del vescovato e all’educazione religiosa dei suoi diocesani, avendo trovato una situazione di indifferenza e di decadimento delle strutture e delle pratiche religiose. Con l’aiuto dei diocesani, che apprezzarono la sua dedizione, il G. fece anche restaurare il palazzo vescovile, cadente al punto che, quando giunse a Montalto, egli fu costretto ad andare ad abitare altrove.
Il 16 genn. 1645 Innocenzo X lo trasferì, sembra per ragioni di salute, al vescovato di Nocera Umbra, per crearlo subito dopo cardinale con il titolo di S. Onofrio al Gianicolo, il 6 marzo 1645. Il G. accettò, ma chiese al papa di rimanere ancora a Nocera, dove tornò il 30 giugno, fondò la Congregazione dell’Oratorio nella chiesa di S. Bernardo il 7 luglio e curò l’istruzione religiosa del popolo e liturgica del clero. Tornò a Roma nel settembre, riprendendo il suo posto alla congregazione del S. Uffizio, dove era stato consultore dal 1630 al 1640, e sviluppò un’instancabile attività, partecipando a varie congregazioni, riguardanti soprattutto le Chiese orientali.
Il 25 sett. 1646 fu nominato bibliotecario di S. Romana Chiesa. In tale ufficio ebbe delle difficoltà con Felice Contelori, custode della Biblioteca Vaticana passato agli Archivi, a causa delle rendite perse da questo nel passaggio; ancora per ragioni di rendite si trovò in contrasto con Alessandro Ranaldi, custode, membro di un’antica dinastia di custodi della Vaticana. Al G. si deve la copia dei Vat. gr., 1924‑25, che dotò di una sua prefazione. Suo devotissimo fu Fioravante Martinelli, scrittore di ebraico e poi di latino, al suo servizio per venti anni e poi suo biografo.
Dopo il cardinalato, il G. rinunziò definitivamente al vescovato e nel 1644 fu creato protettore dei monaci di S. Basilio, a Grottaferrata, i quali lo ospitarono dal 30 maggio al 6 giugno 1647. L’anno seguente presiedette il capitolo generale dell’Ordine. Dopo la morte del cardinale Antonio Barberini, nel 1646, fu nominato penitenziere maggiore. Nel 1647 Filippo Cammarata, giurista palermitano, gli dedicò un suo volume su una vertenza giuridica tra vescovi, abati e regolari.
Il G. morì a Roma il 25 luglio 1649. Fu sepolto, come aveva chiesto, a S. Maria in Vallicella. Un suo ritratto si trova nella sala di lettura della Biblioteca apostolica Vaticana, un suo busto nei Musei della Biblioteca stessa.
Non senza problemi fu la questione dell’eredità del Giustiniani. Nell’archivio della Congregazione dell’Oratorio, vol. 136, sono conservati documenti di una causa per tale eredità intrapresa dalla Congregazione e Marcantonio Giustiniani contro Fioravante Martinelli, che vanno dal 1633 al 1663.
Alcune opere manoscritte del G. si trovano a Roma, nella Biblioteca Vallicelliana: commenti su opere di s. Tommaso (Mss., 0.86); alcuni Sermones morales autografi (ibid., 0.88), abbondante materiale composto da abbozzi di sermoni dal 1609 in poi; un De iustitia et iure tractatus (ibid., 0.87), autografo, di diritto canonico; in Mss., 0.89‑91 Si trovano sue annotazioni sulle decisioni del S. Uffizio in materia dottrinale e morale, dal 1625 in poi, e di altro argomento. La sua attenzione alla Chiesa greca e ai rapporti tra cattolici e ortodossi si espresse nella sua opera maggiore: l’edizione degli atti del concilio di Firenze del 1438‑46 (Acta sacri oecumenici concilii Florentini… collata, disposita, illustrata, Romae 1638). L’opera, già pronta nel 1636, fu data in esame dalla stessa Propaganda e controllata minuziosamente per più di un anno da vari personaggi, tra i quali il generale dei domenicani Niccolò Ridolfi, il gesuita Terenzio Alciati, Lucas Holste. Dopo un anno, il 14 nov. 1637, venne dato parere favorevole. La dedica è a Urbano VIII. Tutto il lavoro preparatorio si svolse su codici vaticani; la lacuna che il G. intendeva colmare era la mancanza di atti scritti da parte di latini, perché tutto ciò che era stato pubblicato fino ad allora era di greci. Il G. trovò un codice della Biblioteca Vaticana con la descrizione delle dispute di Andrea di S. Croce, avvocato del Concistoro apostolico, che aveva partecipato al concilio e riportava fedelmente le parole degli oratori greci e latini. Nell’opera, il G. si attiene fedelmente al metodo cronologico, descrivendo le varie fasi conciliari, dal concilio di Basilea (1431‑37), dove i padri conciliari dichiararono che l’autorità del concilio era superiore a quella del papa, al trasferimento del concilio a Ferrara e poi a Firenze, per volere di Eugenio IV. Tratta poi dello scopo del concilio di Firenze, l’unione delle Chiese cattolica e ortodossa, introducendo una storia dello scisma e concludendo con una narrazione delle ripercussioni negative che ebbe l’unione con Costantinopoli. Anche se sottinteso, è evidente il suo intento di prendere le difese della Chiesa di Roma, soprattutto quando attribuisce a un castigo di Dio la caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi nel giorno di Pentecoste del 1453, il giorno della discesa dello Spirito Santo, la cui dottrina era uno dei maggiori motivi di divisione tra le due Chiese. Nella parte in cui il G. descrive l’arrivo a Ferrara dell’imperatore Giovanni Paleologo e del patriarca Giuseppe nel marzo 1438, inserisce anche una descrizione di alcuni riquadri del portale di bronzo della basilica di S. Pietro, nei quali è raffigurato l’arrivo dei greci e il loro incontro con Eugenio IV e altri dove è raffigurata la sessione nella quale venne letto il decreto d’unione e la partenza dei greci per Costantinopoli. Tra i meriti dell’opera, che fu inserita nelle grandi edizioni generali dei concili (Hardouin, Mansi, Labbé‑Cossart), vi è anche quello di offrire i testi delle varie bolle d’unione. Nell’opera il G. inserisce anche documenti attestanti altre bolle d’unione, con gli armeni, con i giacobiti, con i siri, con i maroniti e le trattative con gli etiopi.
FONTI E BIBL.: Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat. 8231, cc. 344‑351: Breve relazione della vita del cardinal G., data da Fioravante Martinelli, suo familiare; Roma, Biblioteca Vallicelliana, Mss., 0. 58, cc. 107‑110v (biografia del G. di Paolo Aringhi); Il primo processo per s. Filippo Neri…, I, Città del Vaticano 1957, pp. 207‑209; L. Cardella, Memorie istoriche dei cardinali, VI, Roma 1793, pp. 63 ss.; C. De Rosa di Villarosa, Memorie degli scrittori filippini o sieno della Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri, II, Napoli 1842, pp. 60 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, p. 767; C. Gasbarri, L’Oratorio romano, Roma 1962, p. 165; C. Di Ruscio, Il cardinal O. G. (1580‑1649), Roma 1965; J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, Città del Vaticano 1973, pp. 73, III, 128, 132, 136 s., 147, 330 S., 350, tav. VII, 2; G. Lipari, Gli annali dei tipografi messinesi del ’6oo, Messina 1990, p. 191; G. Moroni, Diz.di erudizione storico‑ecclesiastica, V, pp. 227 s.; XXXI, pp. 220 s.
M. CERESA