Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 19, pp. 67-69 edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.
Nacque a Firenze nel 1583 da Francesco di Piero e Lodovica di Ristoro Machiavelli. Secondo i biografi si trasferì presto a Roma per compiere gli studi nel Seminario romano, poi a Perugia e ancora a Roma dove, alla Sapienza, si laureò in legge. Discendendo da una delle più illustri famiglie fiorentine, allorché Alessandro de’ Medici divenne papa con il nome di Leone XI (1° apr. 1605) fu nominato tesoriere della Camera apostolica. L’avvento di Paolo V (Camillo Borghese) appena un mese più tardi non modificò la situazione: il C. seppe anzi guadagnarsi la fiducia del nuovo pontefice che lo creò presto cardinale (24 nov. 1608) e lo ammise nella ristretta cerchia dei suoi collaboratori e consiglieri. Fu nominato legato di Bologna il 27 ag. 1614 ed ebbe l’incarico speciale di coordinare le diverse iniziative progettate dal pontefice per bonificare il territorio del delta del Po e regolamentare le acque dei fiumi di quella regione.
L’esperienza che aveva acquisito negli anni passati in Curia poté rendergli meno gravoso il compito del governo di una legazione che comprendeva una città di ben 70.000 abitanti, dei sobborghi ed una campagna ancora più popolati (secondo la Descrittione… fatta l’anno 1617 di decembre, contenuta nel codice Vat.lat. 6698, la città, il contado e il territorio dell’intera diocesi ‑ corrispondente grosso modo a quello della legazione ‑ contavano oltre 250.000 abitanti). Proprio alla conoscenza specifica di alcuni tra i problemi più rilevanti che il C. avrebbe dovuto affrontare si riferiva l’Informatione che Flaminio Leonori di Todi gli indirizzò nell’estate del 1614 e che il C. conservò tra le sue carte.
La precarietà del suo stato di salute lo obbligò ben presto a lasciare gli incarichi più gravosi a un vicelegato (che, dal 1616, fu Antonio Cicalotti) e ad allontanarsi dalla città. Quando Alessandro Ludovisi, già arcivescovo di Bologna durante la legazione del C., divenne pontefice assumendo il nome di Gregorio XV (9 febbr. 1621), egli fu nominato arcivescovo di Ravenna. I suoi malanni trovarono parzialmente sollievo: rimase così nella nuova sede per oltre venticinque anni e, se non poté recarsi a Roma quanto egli avrebbe voluto e i suoi impegni richiedevano, in compenso poté lavorare con grande zelo nella cura pastorale. Visitò più volte le parrocchie della diocesi, convocò un sinodo diocesano nel 1627 e uno provinciale nel 1632, fece eseguire lavori di abbellimento della chiesa metropolitana, di restauro e di ampliamento del palazzo arcivescovile. Nella città svolse opera di pacificatore tra due partiti che si erano denominati dei «guelfi» e dei «ghibellini» e che turbavano con le loro lotte la vita economica e la tranquillità dei cittadini. Nei panegirici e sermoni di quegli anni, conservati ora nella Biblioteca Vaticana, risuona di frequente l’invito ai sacerdoti ed ai fedeli ad abbandonare l’ozio e l’accidia per perseguire ideali di vita più operosa. A Maria il C. dedicò gran parte delle omelie che ci sono giunte additandola come la guida e il soccorso della misera e sofferente umanità.
Nel 1645 rinunciò alla guida della diocesi in favore di suo nipote, Luca Torregiani, e si stabilì definitivamente a Roma. Già dal 1623 egli faceva parte della Congregazione dei cardinali che dirigeva l’ufficio creato da Gregorio XV per coordinare l’attività missionaria, cioè la Congregazione de Propaganda Fide. Quando il cardinale Antonio Barberini iunior, che ne era il prefetto, fu costretto a fuggire in Francia per l’ostilità del nuovo pontefice Innocenzo X (Giambattista Pamphili), il C., su designazione degli altri cardinali che dirigevano la Congregazione, assunse le funzioni di proprefetto che non abbandonò quando il Barberini ritornò a Roma e riprese il suo ufficio. A questo lavoro il C. si dedicò con grande zelo nonostante l’aggravarsi delle condizioni di salute e gli altri incarichi di Curia. Si era ancora nella fase avventurosa della fondazione: sia la Congregazione che il Collegio Urbano (dove venivano istruiti i primi missionari destinati alle popolazioni da convertire) avevano sede nel palazzo Ferratini in piazza di Spagna; ben presto però si cominciò a studiare la possibilità di creare una tipografia per gli usi della Congregazione, di ampliare e rinforzare i locali esistenti, di dare alla prima sede della Congregazione un aspetto esteriore così prestigioso come l’idea informatrice che aveva dato alimento alla stessa istituzione. Nei lavori di restauro e di ampliamento furono impiegati tra l’altro Gian Lorenzo Bernini (che realizzò la facciata del palazzo su piazza di Spagna) e il Borromini (chiesa interna all’edificio).
Un impegno ponderoso lo occupò negli anni durante i quali fu alla guida della Congregazione. I gesuiti non si erano mostrati affatto solleciti a riconoscere le prerogative che i pontefici avevano attribuito alla Propaganda Fide. Il C. tentò di giungere ad un accomodamento che permettesse alla Congregazione di ottenere la collaborazione di tutte le forze disponibili e ai gesuiti di non dover rinunciare del tutto a una loro autonoma presenza nei territori di missione. L’accordo raggiunto, se all’apparenza non modificava la situazione precedente, fu utilizzato in seguito a vantaggio della Congregazione, soprattutto in concomitanza con le prime crisi che investirono i rapporti tra i gesuiti e la Curia. Altro problema di non minore rilievo era quello delle dispense che la Congregazione doveva richiedere di volta in volta per i suoi missionari al S. Uffizio per le materie di sua competenza: il che provocava ritardi e paralisi all’attività in terra di missione.
Di questi anni trascorsi alla guida della Congregazione restò al C. un ricordo vivissimo tanto che nel testamento (redatto nel 1655) decise di lasciare parte dei suoi beni alla Congregazione perché facesse costruire e attrezzare una stamperia.
Nell’agosto del 1649 era stato nominato bibliotecario della Vaticana e mantenne quest’incarico sino alla morte. Prima di lui, durante il pontificato di Urbano VIII, la biblioteca non era sfuggita alla logica della politica nepotistica ed era stata diretta dai cardinali della famiglia Barberini. Costoro avevano saputo però circondarsi di collaboratori di prestigio e di indiscussa capacità, come l’ultimo dei Ranaldi, Alessandro (i Ranaldi avevano avuto grandi responsabilità e spesso avevano condizionato lo sviluppo della biblioteca per quasi un secolo), come Felice Contelori e soprattutto come Luca Holstenius che, prima bibliotecario di Francesco Barberini, fu nominato custode della Vaticana nel 1653, durante la direzione del Capponi.
L’amicizia con Holstenius risaliva agli anni del suo ritorno a Roma: diverse le fonti che mettono in risalto la grande familiarità esistente tra i due, l’ammirazione del C. per il letterato, la stima con la quale questi lo ricambiò. Il C., soprattutto nei primi anni, quando ancora le sue condizioni di salute lo permettevano, prese a cuore le sorti della biblioteca. Pur non essendo uomo di lettere, seppe compiere scelte opportune di collaboratori e si impegnò perché quel centro di studi assolvesse sempre meglio alla sua funzione. In questa prospettiva si può leggere il decreto con il quale egli regolò la vita della biblioteca: si occupava del restauro dei manoscritti e dei locali che li ospitavano, dei doveri dei custodi, degli scrittori e di ogni altra persona in rapporto di lavoro con la biblioteca, delle modalità per la consultazione dei volumi da parte di studiosi esterni, degli acquisti da fare per tenere aggiornate le raccolte. L’ultima testimonianza del suo interesse per la biblioteca si legge nel testamento e riguarda il lascito di tutti i manoscritti della sua raccolta privata: una cinquantina di opere che riguardavano argomenti molto diversi, dalle cronache del concilio di Trento a componimenti poetici, a testimonianze sulla sua attività a Bologna, Ravenna e Roma.
Trascorse gli ultimi anni tra la residenza nella villa che aveva acquistato a Frascati e i suoi palazzi romani. Morì a Roma il 7 apr. 1659 e fu sepolto per suo desiderio nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, di cui era stato cardinale titolare.
FONTI E BIBL.: Nella Bibl. Apost. Vaticana si conservano i manoscritti appartenuti al C., tra i quali ricordiamo i già citati Informatione per l’ill. e reverend. il signor Card. C. mio signore e provveditore colendissimo (Vat. lat. 6708, ff. 5‑8); Prediche, orationi, sermoni (Vat. lat. 6705, tre volumi); Descrittioni dell’anime, et case, della città, suburbij, e diocesi di Bologna fatta per l’anno 1617 di decembre (Vat. lat. 6698). Più importanti, soprattutto per gli ultimi anni della sua vita, sono le Memorie dello stile della corte dell’em. signor card. C. patrone, compilate da S. Casini (Barb. lat. 4939‑4944), le Lettere del card. L. C. a Lucas Holstenius (Barb. lat. 6497, ff. 18‑28), il Testamento di L. C. (Barb. lat. 4909, ff. 99‑108 ; una copia è anche alla Bibl. Angelica di Roma, ms. 1980, ff. 67‑73). Interessanti sono le note biografiche lasciate da G. M. Mazzuchelli tra le Notitie relative agli scritt. italiani (Vat. lat. 9265, ff. 271‑273). I Necrologi romani dal 1656 al 1663 (Vat. lat. 7883) confermano la data della morte proposta dal Casini (il quale dice «alle ore 10» del 6 aprile: poiché l’inizio della giornata era fissata a mezz’ora dopo il tramonto, corrispondono in effetti alle 3‑4 del mattino del 7 aprile). Di grande rilievo, per l’attività del C. in Propaganda Fide, gli Acta Sacrae Congregationis (Archivio della Congregazione de Propaganda Fide, voll. 1626), le Congregazioni particolari, voll. 9‑10, le Scritture riferite nei congressi. Nell’Arch. Segr. Vaticano si possono vedere le Lettere di cardinali, ai voll. 5, 8, 9, 13, 15, 16, 17; le «relationes ad limina» (una sola del periodo del suo episcopato a Ravenna) nella cartella Ravennatis, I, tra le carte della Congregazione del Concilio. E cfr. Decreta diocesanae synodi Ravennatis primae ab Aloysio Capponio Ravennatis Ecclesiae archiepiscopo celebratae anno 1626, Ravennae 1627; G. Fabri, Le sagre mem. di Ravenna antica, Venetia 1644, pp. 556 s.; I. Ursulino, Inclytae nationis Florentinae familiae suprema Romani pontificatus ac sacra cardinalatus dignitate illustratae, Romae 1706, pp. 379‑384; L. von Pastor, Storia dei papi, XII‑XIII, Roma 1932, ad Indices; J. Metzler, Francesco Ingoli, der erste Sekretär der Kongregation (1578‑1649), in Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum, Rom‑Freiburg-Wien 1971, I, i, pp. 197‑243; J. Bignami‑Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Città del Vaticano 1973, pp. 139‑142; P. Gauchat, Hicrarchia catholica, IV, Monasterii 1935, pp. II, 292.
L. OSBAT