Flavio Chigi (1659-1681)

Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 24, pp. 747-751 edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.

Nacque a Siena l’11 maggio 1631 da Mario di Fabio, del ramo di Mariano della grande famiglia senese, e da Berenice della Ciaia.

Le fortune della famiglia non potevano certo dirsi in quel periodo molto fiorenti. Mario era il primogenito di undici figli, sette femmine e quattro maschi, tra i quali Fabio, allora vescovo di Nardò e nunzio in Germania. La giovinezza del C. trascorse tutta a Siena, fino a quando lo zio Fabio, inviato da Innocenzo X quale legato a Münster e poi ad Aquisgrana per seguire le trattative di pace, lo volle con sé in Germania, certamente per arricchirne l’esperienza e avviarlo alla carriera ecclesiastica. Tuttavia molto presto il giovane venne rimandato in Italia, a Siena.

Sui motivi di tale improvviso ritorno non si conoscono notizie precise, pur essendo l’episodio di notevole importanza. Inoltre utilizzare le nebulose biografie del tempo è assai difficile, dati i fini apologetici degli autori. Tuttavia il Cardella indica tra i motivi dell’allontanamento la possibilità che lo zio «non ne rimanesse soddisfatto». Il che potrebbe anche spiegare l’atteggiamento dello zio quando, come pontefice, concesse tanta poca autorità al nipote cardinale, come segretario di Stato. Come testimonianza di questo viaggio si conserva tra i manoscritti Chigiani un diario del C. «di città vedute da me in Germania», del maggio 1650, quando aveva appena diciannove anni.

Tornato a Siena, il C., che non aveva ancora compiuto studi particolari, si dedicò a quelli di diritto e di filosofia, prendendo nel maggio 1651 gli ordini minori. Non sembra tuttavia volesse decisamente avviarsi alla carriera ecclesiastica perché negli anni seguenti, pur essendo ormai divenuto lo zio Fabio cardinale e segretario di Stato, restò a Siena. Solo dopo un anno dalla sua elezione al pontificato il nuovo pontefice Alessandro VII chiamò a Roma i nipoti Flavio e Agostino e il fratello Mario. Il 3 giugno 1656 il C. prese il sacerdozio, dopo esser stato preparato nel noviziato dai gesuiti e solo l’anno seguente, il 9 aprile, venne nominato cardinale prete del titolo di S. Maria del Popolo. Da quel momento gli incarichi si moltiplicarono: governatore di Fermo, di Tivoli, legato di Avignone, prefetto della Congregazione di Sanità, di quella sopra i Confini, della Segnatura di giustizia, arciprete della basilica del Laterano, bibliotecario della Vaticana.

La contraddizione più vistosa nella figura dei C. fu forse questa. Non avendo qualità tali da poter emergere come segretario di Stato, rimase soprattutto il cardinal nepote. Ciò gli impedì quella lunga carriera, fatta soprattutto nelle varie cariche in Curia e fuori Curia, tipica di tante figure del tempo e dello stesso Alessandro VII. Né poteva vantare un’attività pastorale di rilievo. Resta quindi tuttora indefinita l’attività del C. come cardinale segretario di Stato nel decennio di pontificato di Alessandro VII, tra il 1657 e il 1667,

Inizialmente egli esercitò tale attività in alternanza con il Rospigliosi, ma tutte le fonti del tempo concordano nell’indicare la mancanza di qualsiasi influenza del C. negli affari più o meno rilevanti della Segreteria. Una delle scarsissime tracce dell’impegno del C. nella Curia è assai tarda e lo indica quale partecipante, nel novembre del 1666, alla commissione cardinalizia incaricata dell’esame della procedura contro i quattro vescovi di Francia che avevano rifiutato il formulano papale contro il giansenismo.

La chiave forse per meglio comprendere l’attività del C. è proprio nella distinzione fra le due figure di cardinal nepote e segretario di Stato. Sia per la precisa volontà di Alessandro VII e la sua scarsa fiducia nei confronti del nipote, sia per la personalità stessa del C., questi si limitò ad essere il cardinal nepote. L’incidente dei Corsi a Roma nel 1662 lo dimostra ampiamente.

I rapporti fra la Francia di Luigi XIV e la S. Sede, in particolare con il pontefice Alessandro VII, non gradito alla corte di Francia, erano già piuttosto tesi. Il nuovo ambasciatore di Luigi XIV a Roma, il duca di Créqui, sembrava quasi fosse stato scelto espressamente per irritare la corte romana e la famiglia pontificia. Il 20 ag. 1662 la guardia pontificia, formata di militari corsi, venne alle mani con alcune persone del seguito del duca e lo scontro degenerò in un vero e proprio assedio del palazzo Farnese, sede dell’ambasciatore di Francia, durato alcune ore. Un paggio venne ucciso e alcuni feriti. Subito dopo l’Imperiali, governatore di Roma, e Mario Chigi, comandante delle truppe, allontanarono le guardie corse. L’incidente era certo grave e lo stesso pontefice nominò subito una commissione d’inchiesta e invitò il cardinal Sacchetti, già candidato del re di Francia nei conclavi precedenti, a, presiedere una congregazione di cardinali per decidere le riparazioni da concedere alla Francia. Lo stesso C., il 26 agosto, si recò a presentare le prime scuse al duca. Questi tuttavia il 10 settembre abbandonò Roma con la famiglia, prendendo l’occasione per provocare una vera e propria rottura fra la Francia e la S. Sede. Evidentemente l’inviato francese si sentiva appoggiato dalla corte di Francia, ed infatti le richieste di Luigi XIV al pontefice furono pesantissime: deposizione dell’Imperiali come governatore e come cardinale, consegna di Mario Chigi, scioglimento della guardia corsa. Pur avendo Alessandro VII allontanato l’Imperiali, mandandolo legato della Marca, Luigi XIV iniziò una vera propria azione diplomatica per isolare il pontefice, arrivando persino a preparare un intervento militare. Avignone venne incorporata alla Francia e il vicelegato trasferito suo malgrado oltre frontiera. Il pericolo di un intervento armato era tale che il pontefice dovette cedere. A Pisa il 12 febbr. 1664 fu stipulato l’accordo, che suonava soprattutto un’offesa non tanto al pontefice quanto ai Chigi. Il fratello del papa, Mario, fu infatti costretto ad ammettere colpe mai avute e il C. doveva recarsi come legato presso la corte di Parigi, per presentare le sue scuse a Luigi XIV. Inoltre una piramide doveva venire innalzata presso la caserma dei Corsi a Roma per ricordare ai posteri il loro delitto verso la Francia. Condizioni così gravi possono spiegarsi difficilmente, come pure difficilmente se ne spiega l’accettazione da parte del pontefice. Pontefici con diversa personalità forse avrebbero subito una occupazione militare pur di non piegarsi, e l’esempio di resistenza di Innocenzo XI, anni dopo, lo dimostra.

Così il C. fu costretto a recarsi a Parigi, non già come cardinale segretario di Stato quanto come cardinal nepote e figlio, per di più, del colpevole Mario Chigi. Ma in questa sua missione dimostrò di possedere doti di dignità e serietà, rilevate anche dagli osservatori contemporanei e alla stessa corte di Francia. Il C. lasciò Roma il 23 apr. 1664 per Civitavecchia, ove si imbarcò per Marsiglia, passando poi a Lione e quindi a Parigi. Il papa aveva voluto assicurargli un seguito numeroso e splendido. E che il cardinale non pensasse solo ai lati negativi del viaggio lo dimostra la sua corte, della quale faceva parte il pittore Giovanni Angelo Canini, incaricato di disegnare i luoghi e le cose più interessanti. Il C. colse poi ogni occasione per evitare umiliazioni: ottenne l’ingresso solenne a Parigi e fu ricevuto in udienza privata e in udienza solenne da Luigi XIV, che lo accolse cortesemente.

Al ritorno del C. a Roma il prestigio della famiglia era notevolmente indebolito dallo scontro con Luigi XIV. Aveva causato inoltre molto scontento la debolezza di Alessandro VII verso i suoi parenti, accentuatasi con gli anni, dopo un inizio di pontificato contrassegnato invece da una certa severità nei loro riguardi. Sembra che nei dodici anni del suo pontificato abbia dato ai suoi parenti «fra beni ecclesiastici, secolari e offitii vacabili quasi 4 milioni e mezzo di scudi». Anche se forse esagerata tale cifra non deve allontanarsi molto dalla verità. E il C. fu senza dubbio quello che più beneficiò di tali entrate.

Aveva già acquistato nel 1657 ii castello Farnese per il cugino Agostino e nel 1659 le terre di Formello e Campagnano dal principe Orsini per 335.000 scudi. Nel 1662 insieme con il padre Mario aveva acquistato Ariccia dal principe Giulio Savelli per 324.000 scudi e dai Colonna il palazzo che possedevano ai SS. Apostoli per 25.000 scudi. Possedeva inoltre le ville di Cetinale presso Siena e la terra di San Quirico d’Orcia, infeudatagli dal granduca Cosimo III. Lo stesso tenore di vita del C., amante del teatro, della caccia, della buona tavola, oltre a procurargli satire e malignità a Roma, richiedeva notevoli spese. D’altra parte sembra fosse lo stesso Alessandro VII ad incoraggiano in tali svaghi nella speranza «che con questo divertimento superi l’impulsi venerei da’ quali… era vivamente travagliato». Non stupiva che il C. possedesse ad Ariccia una collezione dei ritratti delle trentasei donne più belle di Roma, o un’opera come quella del Cerquozzi, Il bagno femminile, «di per sé scelta sorprendente per un cardinale», come ricorda Haskell.

Con la morte a breve distanza di Alessandro VII e del padre Mario, il C. si trovò a dover affrontare una situazione completamente nuova e da solo. Fino agli ultimi giorni della sua pur grave malattia il pontefice continuò a seguire personalmente tutti gli affari più importanti; a volte ebbe l’autorizzazione a firmare documenti urgenti, ma rendendone poi conto al pontefice stesso. Di conseguenza con la morte dello zio, seguita da quella del padre, il C. ebbe su di sé sia il peso politico della sua posizione di capo del gruppo di cardinali promossi da Alessandro, sia quello di capo della famiglia. E indubbiamente tutta l’azione politica svolta dal C. negli anni seguenti, nei cinque conclavi ai quali partecipò, mostra una personalità assai più autorevole di quella del giovane cardinal nepote.

Sin dal primo conclave, tenutosi dopo la morte di Alessandro VII, il C., come voleva la tradizione essendo nipote del defunto pontefice, si trovò a capo dei cardinali promossi da papa Chigi, ben ventitré, ai quali si contrapponeva il gruppo dei cardinali di Urbano VIII, guidati da Antonio Barberini. Tuttavia la sua inesperienza e la sua, del resto ben motivata, preclusione verso candidati francesi lo costrinsero ad abbandonare la candidatura del cardinale Scipione d’Elci, troppo impetuosamente sostenuto sin dall’inizio e ad accettare, sia pur con riluttanza, la candidatura del Rospigliosi, eletto con il nome di Clemente IX. Ma il pontificato del nuovo papa durò appena due anni, e il 20 dic. 1669 iniziò il nuovo conclave. Tra le due fazioni dei cardinali, i favorevoli alla Francia e quelli filospagnoli, il gruppo del C. era sempre il più rilevante all’interno del Sacro Collegio. Pur continuando a sostenere la candidatura del D’Elci, il C. fu indubbiamente assai più diplomatico della volta precedente. Fu lui che sin dall’inizio impedì la candidatura del cardinal Vidoni, a suo avviso troppo favorevole al partito francese. Ciò gli procurò l’esclusiva francese contro il D’Elci e lo stesso Buonvisi, da lui proposto in sua vece. Ripiegando sulla candidatura dell’Odescalchi, sostenuto anche dai filospagnoli, si trovò nuovamente contro il partito francese. A questo punto il C. si riavvicinò clamorosamente all’inviato francese, il duca di Chaulnes ed insieme con questo e con il Rospigliosi, una volta ottenuta conferma dell’esclusione del Vidoni, stabilì in segreto la candidatura di Emilio Altieri. Due giorni dopo l’Altieri venne eletto con cinquantasei voti su cinquantanove votanti. Così sia l’ambasciatore di Francia sia quello di Spagna proclamarono ognuno vittoria, anche se il vero vincitore fu effettivamente il Chigi. Lo stesso giorno, il 29 aprile, ottenne da Clemente X che il cardinal Paluzzi (che prese il nome della famiglia Altieri), suo congiunto, fosse nominato cardinal nepote. Questi doveva al C. la sua nomina a cardinale e il favore con il quale aveva seguito la sua carriera, favori che ripagò in parte con la influenza data al C. nel pontificato di Clemente X. Il legame fra il C. e l’Altieri continuò infatti anche negli anni seguenti, probabilmente anche per lo scontro fra il cardinal nepote e Luigi XIV. L’atteggiamento dell’Altieri, ormai decisamente avverso al partito francese, comportò per il C. una difficilissima operazione diplomatica nel conclave che vide l’elezione del cardinal Odescalchi.

Il C. aveva già avanzato tale candidatura nel conclave precedente. Questa volta l’iniziale favore dell’Altieri verso l’Odescalchi comportò la decisa opposizione dell’inviato francese, offeso per una candidatura, secondo lui di un filospagnolo, per di più proposto dall’Altieri. L’opposizione fu aggirata dal C. e dal Rospigliosi con alcune lettere inviate allo stesso Luigi XIV, dalle quali l’Odescalchi appariva quasi un rivale dell’Altieri e la sua elezione una sconfitta del partito spagnolo. Ottenuto l’assenso di Parigi si arrivò il 21 sett. 1676 allo scrutinio che vide l’elezione di Benedetto Odescalchi, forse il più tenace avversario della politica ecclesiastica di Luigi XIV. Il rigore, l’austerità, il carattere del nuovo pontefice non erano stati forse compresi dallo stesso C., che più volte dovette egli stesso subirne la volontà. Così nel 1677 il pontefice gli tolse l’ufficio di bibliotecario della Chiesa, onde affidarlo a un chierico di grado inferiore e diminuirne così lo stipendio. In occasione inoltre del tentativo di Innocenzo XI di emanare una bolla contro il nepotismo, nel maggio 1677, il C. insieme con il Barberini fu il capo dell’opposizione a tale iniziativa, persistendo in essa anche quando il progetto venne ripreso nel 1681 e nel 1686.

Un aspetto che non può non colpire della personalità del C. è dato proprio dal contrasto fra le sue indubbie capacità diplomatiche e anche politiche, mostrate nei vari conclavi, e la sua inazione fuori di questi. Nei due conclavi successivi egli fu l’arbitro delle elezioni, sia con Alessandro VIII Ottoboni (1689) da lui indicato sin dal primo giorno come candidato, contro l’opposizione iniziale di Luigi XIV, sia con Innocenzo XII Pignatelli, sospetto a Parigi perché di famiglia napoletana e quindi «spagnola». Tuttavia in circa trentasei anni di cardinalato, ad esclusione della carica di segretario di Stato tanto debolmente esercitata, egli non occupò alcun ufficio rilevante in Curia o fuori. Le cronache o le biografie del tempo ricordano al solito la liberalità verso i poveri, le cure verso numerose chiese, la carica di arciprete della basilica lateranense.

Aveva ottenuto nel 1686 il vescovado di Albano, del quale celebrò il sinodo nel 1687, poi di Porto.

Ma la sua partecipazione sia all’attività politica e diplomatica sia a quella teologica, in un periodo che pure vide i gravi problemi del giansenismo e del quietismo, fu scarsa. Dove invece il C. si distinse in certo modo durante la sua lunga permanenza a Roma fu nella vita artistica e culturale della capitale, dove si dimostrò un generoso committente e un notevole collezionista.

Grazie infatti alle larghissime possibilità economiche avute sin dai primi anni del cardinalato il C. fu uno dei più influenti committenti romani. I registri della sua contabilità, che ancora si conservano nell’archivio di famiglia, lo provano chiaramente, come provano i suoi contatti con il Bernini e il Fontana. Il C. infatti era interessato soprattutto ai lavori di architettura, necessari per i palazzi e le ville da lui acquistati: dal palazzo Colonna ai SS. Apostoli, a quelli di Formello e di Ariccia, al casino alle Quattro Fontane, alle ville di Versaglia, di Cetinale, di San Quirico d’Orcia. I lavori di rimodernamento del palazzo Colonna, oggi Odescalchi, cominciarono quasi subito dopo l’acquisto, nel 1661, ma la partecipazione alla direzione dei lavori del Bernini iniziò nel 1664 e fu di grande importanza. Il Golzio, sulla scorta dei documenti contabili del C., ha dimostrato chiaramente come i lavori del Bernini non si limitassero solo alla modifica della facciata, ma ad un vero e proprio rifacimento dell’intero edificio. Il Bernini vi lavorò fino al dicembre del 1666, quando fu sostituito dal Fontana, che ne continuò i piani di lavoro. Il risultato, grazie alla «mediocrità dei gusti di Flavio, unita al genio del Bernini…» produsse una facciata spettacolare, unica nella Roma del tempo (Haskell). Le decorazioni interne e i dipinti delle gallerie invece erano piuttosto deludenti, per lo scarso amore e per la mancanza di interesse del C. verso la pittura. Tutti o quasi tutti i pittori da lui chiamati per i lavori di decorazione dei suoi palazzi e delle sue ville furono infatti poco noti o del tutto sconosciuti: G. Re, G. B. Noni, C. Rossetti, G. F. Grimaldi. Né la sua attività di collezionista fu di particolare rilievo in un’epoca che pure aveva visto a Roma i rapporti fra collezionisti privati, come C. A. Dal Pozzo o C. Massimi e un Poussin o un Velàzquez. Il C. aveva costituito un piccolo museo di raccolte di arti minori e di curiosità nel suo palazzetto di via Quattro Fontane, di non grande rilievo, secondo i gusti del tempo. Mentre assai più ricca e interessante fu la sua collezione di statue antiche, iniziata nel 1661 e continuata fino alla sua morte. Si trattava di pezzi acquistati direttamente via via che venivano ritrovati nei giardini o nelle campagne vicino a Roma, e che lo stesso cardinale provvedeva a far restaurare da scultori ben noti, fra i quali vari allievi del Bernini quali A. Raggi, E. Buselli, B. e G. A. Mari. L’importanza della collezione era già nota prima della morte del C. e nel 1728 fu acquistata dal barone Le Plat per le collezioni reali di Dresda. Nei settori artistici dove il C. era particolarmente interessato il suo ruolo di committente fu notevole. Senza voler qui ricordare i continui rapporti con il Bernini, con interventi quali quelli per la cappella del Voto del duomo di Siena di cui controllò tutti i lavori e il monumento ad Alessandro VII, fin troppo noti, fu di particolare importanza il suo legame, finora non del tutto conosciuto, con Carlo Fontana. Dopo aver operato infatti con il Bernini, del quale era stato allievo, nella costruzione del palazzo dei SS. Apostoli, progettò la villa Versaglia e quella di Cetinale, lavorò nel palazzo di San Quirico e di Magliano, nel giardino delle Quattro Fontane, nel duomo di Albano, nella chiesa e nel palazzo di Porto.

Un giudizio complessivo sul C. quale committente e mecenate risulta difficile. F. Haskell giudica le sue collezioni non molto ricche rispetto alle collezioni dei precedenti cardinali nepoti e limitati i suoi interventi artistici. Ma è verosimile che tale autore si lasci in parte fuorviare dal suo stesso prevalente interesse per la pittura. In realtà infatti l’interesse del C. era più rivolto all’architettura e alla scultura e ovviamente il suo stesso ruolo di committente ne fu profondamente influenzato. D’altra parte si occupò anche delle arti minori e per i suoi palazzi e le sue ville utilizzò largamente mosaicisti, miniatori, incisori, arazzieri, medaglisti, intagliatori.

Secondo la moda del tempo egli stesso fondò un’accademia letteraria in Ariccia, detta degli Sfaccendati; promosse spesso spettacoli teatrali e musicali nei suoi palazzi di Roma e Ariccia e nelle ville in Toscana, ai cui allestimenti parteciparono anche il Bernini e il Fontana.

Il C. morì a Roma il 13 sett. 1693.

Da ritenersi sicuramente errata la correzione del Cardella, che sposta la data di morte al 1698.

FONTI E BIBL.: Arch. Segr. Vat., Secr. Brev.,1359, ff. 110, 116, 119, governatore di Fermo e referendario, utr. Signaturae; 1360, f. 44, prefetto della Congregazione di Sanità; 1362, f. 74, bibliotecario S.R.E.; 1363, ff. 201, 279, prefetto della Congregazione sopra i Confini, della Segnatura di giustizia; Acta Cameralia, 20, f. 14, legato di Avignone (23 apr. 1657); 21, f. 49, legato a latere presso la corte di Francia (24 marzo 1664); Bibl. Ap. Vat., Barb. lat., 9897, f. 41, lettere al C. del card. F. Barberini; Vat. lat. 10.449, f. 105, lettere del C. agli ufficiali di Balia di Siena; Vat. lat. 14.137, ff. 248‑249, lettera del C. al re Carlo III di Spagna; Vat. lat. 8335, ff. 376 ss. e Vat. lat. 14.137, ff. 290 ss., lettere del C. al duca di Créquy e a Luigi XIV; Vat. lat. 14.136, passim, lettere del C. al padre Mario; Vat. lat. 13.409, f. 73, nomina del C. a legato a latere presso Luigi XIV; Vat. lat. 8354, ff. 278‑287, relazione del C. della legazione di Francia; Vat. lat. 14.109, ff. 9, 12, 19 e passim, lettere del cardinal Scipione d’Elci al C. (interessanti per i loro rapporti e per la candidatura del D’Elci nei conclavi 1667 e 1669); Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del principato, lettere del C. a Cosimo III, 26 nov, 1678‑10 febbr. 1691, ff. 3841‑3845; lettere del C. al principe Mattias, 18 apr. 1654‑24 sett. 1667, ff. 5403‑5404; Firenze, Biblioteca nazionale, Mss.Passerini, Chigi, sub. voce; Bibl. Apost. Vat., Mss. Chigiani, 2558:Libro di città vedute da me Flavio Chigi nel viaggio di Germania, Fiandra e altre parti, maggio 1650; 2565: breve diario di un viaggio in Toscana, 20 sett.‑12 nov. 1664; 1770‑1794, I‑XIX, corrisp. del C. con i nunzi quale segretario di Stato; XX‑XXI, relaz. e diario della legazione in Francia (1664); 1076: Diario di quanto è accaduto al cardinal Chigi nel conclave… di Innocenzo XII, scritto da un di lui amico l’a. 1691; Ibid., Arch. Chigi, Contabilità del cardinal F. C., Registri di mandati, nn. I‑9 (A‑F), dal 24 luglio 1656 al 2 sett. 1693. Sugli aspetti della società romana del tempo e sul ruolo culturale e artistico svolto dal C. vedi Risposta dei sig. Carlo Fontana alla lettera dell’Ill.mo signor Ottavio Castiglioni, Roma 1668; Synodus diocesana Albanensis celebrata in ecclesia Albanensis cattedrali sub diebus 25‑26‑27 mensis mai anni 1687, Roma 1689; Em. card. Flavii C. testainentum, Romae 1694; A. Ciacconio, Vitae et res gestae Pontificum Roman. et S.R.E. Cardinalium…, IV, Romae 1677, pp. 710 ss.; G. V. Marchesi Bonaccorsi, Antichità del Protonotariato apostolico…, Faenza 1751, pp. 450 s.; L. Cardella, Mem. stor. de’ cardinali…, VII, Roma 1793, pp. 120 ss.; S. Pallavicino, Della vita di Alessandro VII, II, Prato 1840, pp. 23 ss., 79, 148, 150; C. Germ, Louis XIV et le Saint‑Siège, Paris 1894, I, pp. 468, 483 ss., 497, 499 ss., 503 ss., 520 ss., 527 ss.; E. Cappelli, L’ambasceria del duca di Créquy alla corte pontificia, Rocca San Casciano 1897, pp. 74 ss., 98 ss., 102, 104; C. Cochin, Un episode de la légation du cardinal C. en France, in Bull. de la Soc. d’histoire de Corbeil‑Etampes (1911), pp. 1‑48, estratto; L. Ozzoca, L’arte alla corte di Alessandro VII, Roma 1908, pp. 6, 69, 72 S. Martorelli, Ilpalazzo Chigi in Ariccia e l’Accademia degli Sfaccendati, Roma 1919, passim; G. Incisa della Rocchetta, Ilmuseo di curiosità del cardinale F. C. seniore, in Roma, III (1925), pp. 539‑544; U. Frittelli, Albero geneal. della nobil famiglia Chigi…, Siena 1922, pp. 65 ss.; L. v. Pastor, Storia dei papi, Roma 1932, XIV, 1‑2, ad Indicem; V. Golzio, Documenti artistici sul Seicento nell’arch. Chigi, Roma 1939 (fondamentale per l’attività di committente del C. e i suoi rapporti con il Bernini, il Fontana e gli altri artisti operanti a Roma); P. Paschini, I Chigi, Roma 1946, pp. 36 s., 41 s.; F. Haskell, Mecenati e pittori, Firenze 1966, pp. 224 s., 246 s.; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico‑eccles., XIII, pp. 86 s.

E. STUMPO


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