Giuseppe Card. Garampi (9.VII.1751-marzo 1772)

Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 52, pp. 224-229 edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.

Nacque a Rimini il 29 Ott. 1725, secondogenito del conte Lorenzo e di Diamante Belmonti.

Lorenzo ‑ che aveva ereditato il titolo comitale da poco acquisito dal padre Francesco ‑ aveva studiato a Bologna ove si era legato d’amicizia con Prospero Lambertini, futuro papa Benedetto XIV, e aveva ricoperto cariche nel governo cittadino di Rimini. Il G. aveva un fratello, il primogenito Francesco, erede del titolo, scienziato, astronomo e musicista, e una sorella, Mariantonia, che divenne monaca agostiniana.

Il G. ricevette un’istruzione accurata e fra i suoi primi maestri ebbe il conterraneo Giovanni Bianchi (Ianus Plancus): medico, scienziato, ma anche versato nell’antiquaria, amico e corrispondente dei più importanti esponenti del cattolicesimo illuminato italiano. Sotto la sua guida, il G. fu avviato allo studio delle scienze naturali, ma le sue preferenze andavano allo studio del diritto, della storia e dell’antichità. Fin da giovanissimo entrò in contatto, anche attraverso frequenti viaggi a Bologna e in Toscana, con gli ambienti culturali italiani più vivaci e con diversi studiosi, come Paolo Maria Paciaudi, Giovanni Lami, Raimondo Adami e, soprattutto, con il pesarese Annibale degli Abbati Olivieri‑Giordani, che gli forniva libri e con il quale intrattenne una fitta corrispondenza per 45 anni. Nel 1745 fu il membro più giovane della neonata Accademia dei Lincei, rifondata in quell’anno a Rimini dal Bianchi. Alla fine del 1746 scelse la carriera ecclesiastica, prendendo gli ordini minori a Rimini e partendo subito dopo per Roma. Qui, nel settembre dell’anno seguente, ottenne il suddiaconato e il diaconato e il 31 marzo 1749 ricevette l’ordinazione sacerdotale.

A Roma, ove risiedeva lo zio materno Alessandro Belmonti, ciambellano di Benedetto XIV e canonico della basilica di S. Pietro, continuò a studiare giurisprudenza, materia che riteneva indispensabile per un «perfetto antiquario» (Vanysacker, p. 56); studiò anche storia ecclesiastica nell’Accademia ecclesiastica dei domenicani, sotto la guida di T.M. Mamachi. Entrò presto in relazione con il gruppo di eruditi che lavoravano per una riforma della Chiesa in direzione rigoristica, antilassista e antigesuitica e che facevano capo al cosiddetto Circolo dell’Archetto di palazzo Corsini: G.G. Bottari, P.F. Foggini, G. Querci, D. Passionei, M. Compagnoni Marefoschi, G.A. Orsi, A. Giorgi. Nel 1748 divenne membro della Accademia di storia ecclesiastica fondata da Benedetto XIV, davanti al quale lesse una erudita dissertazione sulle lettere scambiate fra pontefici e principi cattolici in occasione delle rispettive promozioni. Il suo giovanile interesse per le iscrizioni antiche lo indusse, nel 1749, a intraprendere una vivace polemica con l’anziano Scipione Maffei, nella quale il comportamento alquanto arrogante del G. denotava un grande desiderio di emergere e di farsi notare in Curia. E, infatti, proprio a Benedetto XIV fu dedicato il suo primo libro, De nummo argenteo Benedicti III pont. max. Dissertatio in qua plura ad pontificiam historiam illustrandam, et Johannae papissae fabulam refellendam proferuntur (Romae 1749), nel quale il G. si mostrava seguace dei metodi della critica storica mabilloniana e muratoriana. Il libro ebbe un’ampia e positiva recensione sulle fiorentine Novelle letterarie di G. Lami e, poco dopo la pubblicazione, il papa nominò il G. coadiutore, con diritto di successione, del prefetto degli Archivi Vaticani, F.A. Ronconi; dopo la morte di questo, il 19 luglio 1751, gli subentrò, con un annuo assegnamento di 500 scudi. Nel novembre dello stesso anno, grazie alla benevolenza del papa e alle raccomandazioni dello zio, fu nominato canonico della basilica di S. Pietro nonostante l’incompatibilità delle due cariche: a queste aggiunse inoltre, nel marzo 1752, quelle di prefetto degli Archivi della basilica di S. Pietro e, nel settembre 1759, di prefetto degli Archivi di Castel Sant’Angelo.

Nei ventidue anni in cui occupò le principali cariche archivistiche della S. Sede, svolgendo un accurato lavoro di riunificazione degli Archivi Vaticani, di recupero di documenti e, soprattutto, di redazione di indici, inventari e cataloghi ancor oggi utilizzati dagli studiosi ‑ come lo Schedario Garampi ‑, il G. scrisse anche le sue opere storiche principali. Nel 1755 pubblicò a Roma le Memorie ecclesiastiche appartenenti all’istoria e al culto della b. Chiara di Rimini, anch’esse dedicate a papa Lambertini, che rappresenta uno dei frutti migliori di quella erudizione storico‑critica e revisionista, nel campo della storia ecclesiastica e dell’agiografia, che si era venuta formando nell’ambito della scuola muratoriana.

Con questo studio, in cui demoliva sistematicamente una tradizione agiografica dubbia, di origine «fratesca» e «popolare», comunque incerta storicamente se posta alla luce della critica delle fonti e della «soda pietà», e con il quale ridimensionava drasticamente la «santità» di Chiara, egli si inseriva nella svolta religioso‑culturale di metà Settecento cui era affidata anche l’affermazione di «una regolata devozione» e la trasformazione dei modelli religiosi e delle forme di pietà in direzione meno corriva e più soda e razionale (Caffiero, Dall’esplosione mistica, p. 346).

A conferma di questo impegno nel campo della critica storica religiosa, nel 1756 il G. pubblicò, anonimo, un lavoro sulle pratiche devote rivolte ai martiri della basilica di S. Pietro (Notizie, regole, e orazioni in onore de’ ss. martiri della ss. basilica vaticana per l’esercizio divoto solito praticarsi in tempo che sta ivi esposta la loro sacra coltre), e, nel 1757, uno studio sulle «santuccie», l’ordine delle benedettine fondato da Santuccia Carabotti nel XII secolo: Memorie della Congregazionedelle santuccie e dei monasteri alla medesima soggetti estratte dall’archivio del ven. monastero di S. Anna di Roma già capo della medesima. Ai suoi interessi per le iscrizioni e per la sfragistica, in gran parte rispondenti a una funzione apologetica e di difesa dei diritti temporali della S. Sede, risaliva invece la Illustrazione di un antico sigillo della Garfagnana (Roma 1759) nella quale dimostrava che il Papato era in possesso di quella regione da prima del 1228; continuava, inoltre, gli studi di numismatica avviando il progetto di una ricerca sul valore delle monete pontificie dal XIV al XVIII secolo. In effetti, negli anni 1765‑66 il G. cominciò a pubblicare Saggi di osservazioni sui valore delle antiche monete pontificie, che però restarono interrotti dopo la sua nomina all’importante carica di segretario della Cifra, avvenuta nel settembre del 1766.

In questi anni, soprattutto, il G. riuscì a trasformare il suo lavoro di archivista in un vero e proprio incarico diplomatico attraverso l’espletazione di una serie di delicate missioni che prepararono il suo definitivo passaggio nei ranghi della diplomazia pontificia. In questo senso il G. fu un perfetto esempio di quella curializzazione dell’erudizione che, tra XVII e XVIII secolo, andava trasformando gli eruditi europei in funzionari al servizio delle rivendicazioni e dei diritti degli Stati, anche sulla base delle ricerche archivistiche, storiche e documentarie che supportavano tali diritti. Già prima della nomina, su incarico papale si era recato presso diversi archivi locali per raccogliere notizie e documenti relativi ai possessi feudali della S. Sede. Successivamente, negli anni 1761‑64, Clemente XIII gli affidò diverse missioni che lo portarono attraverso lunghi viaggi nel mondo tedesco, dei cui affari politici e religiosi divenne presto un profondo conoscitore.

Nel giugno 1761 fu nominato visitatore apostolico del monastero cistercense di Salem, nella diocesi di Costanza, con il segreto incarico di tutelare gli interessi della S. Sede alla conferenza di pace di Augusta che doveva tentare di porre fine alla guerra dei Sette anni, tra Franco‑Austriaci e Anglo‑Prussiani.

Partì nell’agosto, accompagnato dal segretario Callisto Marini, al quale, come al fratello di lui Gaetano, suoi successori nella carica di prefetto degli Archivi Vaticani, restò sempre legato, e da Salem intraprese numerosi viaggi per visitare archivi e biblioteche dei monasteri svizzeri e tedeschi e per allacciare relazioni e contatti con gli studiosi locali. Contemporaneamente, i viaggi di erudizione fornivano un’eccellente copertura ai contatti diplomatici e alla raccolta di informazioni utili alla Santa Sede. Nel luglio del 1762 intraprese un lungo giro per gli elettorati tedeschi, le cui tappe furono Rastatt, Baden‑Baden, Karlsruhe ‑ ove ammirò la pacifica e tollerante convivenza di luterani, calvinisti, cattolici ed ebrei ‑, Mannheim, dove si lego di amicizia con l’elettore palatino Karl Theodor, Magonza, Francoforte, Coblenza, Bonn, Colonia. Di qui, nel settembre 1762, proseguì per l’Olanda, ove visitò le principali città, le biblioteche e gli studiosi più importanti, non senza prendere informazioni sulla situazione dei cattolici e, in particolare, sulla presenza dei giansenisti. Dalle Province Unite passò nei Paesi Bassi austriaci: ad Anversa incontrò i bollandisti, quindi visitò Malines, Bruxelles e l’Università di Lovanio. Infine, proseguì per il principato vescovile di Liegi e poi per la Francia, giungendo a Parigi nel dicembre di quell’anno. Nella capitale francese, ove si trattenne per un mese, il G. intraprese ricerche nelle numerose biblioteche e avviò contatti con molti studiosi, soprattutto orientalisti come A.‑H. Anquetil du Perron o medievisti come J.‑B. Sainte‑Palaye. Ritornato in Germania per risolvere una questione intervenuta tra Roma e il vescovo di Augusta, nel marzo 1763 iniziò il viaggio di rientro in Italia, sostando a Salisburgo e a Vienna, ove si trattenne un mese visitando l’Università, la Biblioteca imperiale e gli archivi: il 3 aprile fu presentato all’imperatrice Maria Teresa dal nunzio pontificio Vitaliano Borromeo. Alla fine di maggio rientrava a Roma dopo un’assenza di ventidue mesi.

Ma già sei mesi dopo il suo ritorno, il G. ripartiva per una nuova missione nel Nordeuropa: doveva infatti accompagnare il nunzio di Lucerna, Niccolò Oddi, a Francoforte per l’incoronazione di Giuseppe II a re dei Romani. Nel corso del nuovo viaggio, che ebbe inizio nel gennaio 1764, gli venne affidata la delicata missione di portare a risoluzione il conflitto insorto tra il capitolo della cattedrale di Spira e il suo decano, il conte August von Limburg‑Stirum, conflitto che rischiava di compromettere le relazioni tra Roma e gli elettori tedeschi e che il G. risolse con abilità.

Anche questa volta egli approfittò della sua permanenza in Germania per i suoi contatti con gli studiosi e soprattutto per intraprendere una nuova serie di viaggi, che lo portarono ancora nelle Province Unite, nei Paesi Bassi austriaci e nel principato di Liegi. In Germania lesse il libro De statu Ecelesiae et legitima potestate Romani pontificis, pubblicato a Francoforte nel 1763 sotto il nome di Giustino Febronio, ma in realtà dovuto alla penna del vescovo suffraganeo di Treviri, Nikolaus von Hontheim, le cui teorie episcopaliste disapprovò.

Tornato a Roma nel dicembre del 1764, il G. si mantenne in contatto epistolare regolare con gli studiosi incontrati, come Martin Gerbert, Johann Rudolf Iselin, Johann Baptist Graser, Girolamo Tartarotti, Corneile-Francois de Nelis, entrando così a far parte di una rete europea di dotti. Ma, soprattutto, le esperienze fatte all’estero lo avevano reso oltre che provetto diplomatico anche un esperto delle questioni di politica ecclesiastica del mondo tedesco.

Nella relazione redatta nel 1764, Del stato della religione in codesti parti della Germania (Arch. segr. Vaticano, Fondo Garampi, 77, cc. 364r‑367r), il G. disegnava un quadro pessimistico della situazione religiosa locale poiché asseriva che, ovunque, anche nei principati cattolici, dominavano le idee illuministiche e antiecclesiastiche. Egli denunciava che i vescovi riluttavano a schierarsi a sostegno dei diritti del papa nei conflitti con i principi tedeschi e indicava quale necessità primaria lo sviluppo e il rilancio degli studi di teologia e di sacra scrittura presso i cattolici onde far fronte alla vivacità della cultura protestante e controbattere gli scritti antiromani degli stessi riformatori cattolici. In questo periodo, il G. ‑ che pure intrattenne rapporti anche con studiosi protestanti, come Friedrich Münter ‑ cominciò probabilmente a ideare quella che è stata definita una sorta di «internazionale ultramontana», composta da dotti fedeli a Roma di ogni nazione che dovevano impegnarsi ‑ come il G. stesso si esprimeva ‑ a confutare «tanti libri, che escono ogni giorno pieni o di massime e principii falsi o di calunnie contro di noi» (Vanysacker, p. 109). A partire dall’esperienza tedesca, il ruolo religioso e culturale del G. mutò dunque profondamente rispetto agli anni dell’adesione al riformismo illuminato cattolico. Egli divenne il pilastro di una rete internazionale volta a contrastare la politica giurisdizionalista dei sovrani e le rivendicazioni delle chiese nazionali e dell’episcopalismo antiromano. In questa netta svolta, il secondo viaggio in Germania e soprattutto la lettura del libro di Giustino Febronio avevano costituito dei fattori essenziali. Il libro divenne infatti il principale bersaglio di una forte reazione romana, centrata sulla produzione di opere di confutazione delle tesi febroniane e di difesa dei diritti della S. Sede, di cui lo stesso G. fu in gran parte regista e organizzatore. La sua convinzione, infatti, era ormai che la vera battaglia fosse da condurre non tanto contro gli scrittori illuministi, quanto contro il «nemico interno» alla Chiesa, vale a dire contro gli autori cattolici portatori di istanze di riforme che colpivano il primato pontificio. D’altro canto, anche nella scottante questione gesuitica, che in questi anni costituiva il centro del dibattito religioso, l’atteggiamento cauto e molto diplomatico del G., che non si schierò totalmente, almeno in una prima fase, con i filogesuiti, deluse profondamente i suoi amici di un tempo, come Giovanni Cristofano Amaduzzi (ibid., p. 119). Con questo irrigidimento in senso intransigente delle sue posizioni politico‑religiose, irrigidimento peraltro del tutto funzionale al ruolo sempre più rilevante che egli veniva assumendo in Curia e probabilmente anche rispondente alle sue aspirazioni di carriera, contrastavano solo apparentemente, per la loro modernità, sia la sua fisionomia culturale di studioso aperto e curioso, sia quella di diplomatico «zelante» ma, almeno in una prima fase, elastico e realistico.

Nel marzo del 1769, in occasione della visita a Roma di Giuseppe II e del fratello, il granduca Pietro Leopoldo di Toscana, i G. ebbe nuovamente occasione di incontrare l’imperatore con cui discusse a lungo delle questioni politiche più pressanti, producendo un’ottima impressione. Il nuovo pontefice Clemente XIV prima lo confermò nelle sue cariche, poi il 16 genn. 1772 gli conferì, con rescritto papale, la laurea in utroque dalla Sapienza di Roma, lo preconizzò il 27 gennaio vescovo titolare di Berito (il 19 aprile divenne assistente al soglio pontificio) e il 20 marzo lo nominò nunzio pontificio in Polonia.

Il G. arrivò a Varsavia, dopo una lunga sosta a Vienna, alla fine dell’estate (la prima udienza presso i re di Polonia Stanislao Augusto Poniatowski è del 6 sett. 1772), trovando una situazione difficile in quanto nell’agosto era avvenuta la prima spartizione della Polonia tra Prussia, Austria e Russia già stabilita dal trattato di Pietroburgo (17 febbr. 1772). L’anno successivo, la soppressione della Compagnia di Gesù, che rischiava di far saltare tutto il sistema di insegnamento polacco, comportava gravi rischi anche sul piano religioso. L’abilità di cui diede prova in quegli anni, riuscendo a conservare agli ex gesuiti il controllo sulle scuole come preti secolari, gli valse la designazione, da parte del nuovo pontefice Pio VI, alla ben più prestigiosa nunziatura di Vienna (16 marzo 1776) e, poco dopo, a vescovo di Montefiascone e Corneto (20 maggio 1776).

Il trasferimento a Vienna, ove giunse nel giugno, fu l’occasione per un nuovo lungo viaggio, fitto di contatti e di informazioni, attraverso la Polonia, la Slesia prussiana, la Sassonia e la Boemia, di cui lasciò una descrizione (edita dal Dengel, Em Bericht).

Nella nuova sede il G. iniziò subito a fronteggiare la politica ecclesiastica giuseppina, tentando abilmente di sfruttare i contrasti tra Maria Teresa e il figlio e creando intorno a sé una rete di informatori e di importanti personaggi fedelissimi a Roma e al Papato, fra i quali l’arcivescovo di Vienna, cardinale Cristoph Anton von Migazzi e il vescovo di Wiener Neustadt, Johann Heinrich Kerens. I tre cercarono di bloccare la riforma degli studi teologici e di storia ecclesiastica avviata nell’Università di Vienna e di far proibire dalla censura imperiale libri e autori critici del Papato e soprattutto della teoria del primato. In questa fase il G. e i suoi sodali riportarono alcuni successi, tra i quali l’essere riusciti a ottenere le dimissioni di Joseph Valentin Eybel da professore di diritto ecclesiastico all’Università di Vienna e, nel novembre 1778, la ritrattazione di N. von Hontheim (G. Febronio). Nella sua battaglia sempre più accanita contro le dottrine giurisdizionaliste, il G. si avvalse dei contatti e dei legami intrecciati nei suoi numerosi viaggi per realizzare e rafforzare il progetto di una larga «rete ultramontana» nei paesi dell’Europa settentrionale e centrale, cooperante nella pubblicazione e nella diffusione di libri di difesa dei diritti della S. Sede e di confutazione delle teorie gallicane e febroniane e della politica giurisdizionalistica di Giuseppe II. In particolare intrecciò strettissimi rapporti di collaborazione, scambi e protezione con l’antifebroniano Franz Heinrich Beck, confessore dell’arcivescovo elettore di Treviri, con l’abate Jean Pey, autore di numerosi scritti filocuriali pubblicati anche con il sostegno economico del G., con il cardinale vescovo di Malines, Johann Heinrich von Frankenberg, con il canonico Joseph Philippe Castel San Pietro, con il vescovo di Anversa J.T. Wellens, con il pubblicista ex gesuita François Xavier de Feller, con lo scrittore antilluminista Nicolas Sylvestre Bergier. Inoltre, il G., con l’aiuto del suo uditore Lorenzo Caleppi, non solo mise in piedi una rete di informazione e di spionaggio all’interno della stessa corte imperiale, ma fu in grado di sfruttare gli antichi rapporti con i circoli riformatori e filogiansenisti per staccarne gli esponenti più moderati e riavvicinarli a Roma.

Tuttavia, nel corso dell’offensiva antiecclesiastica giuseppina degli anni Ottanta, i suoi rapporti con il governo austriaco si fecero sempre più tesi e il nunzio, avviato su una strada sempre più radicale, si acquistò fama di fanatico zelante, soprattutto dopo le durissime denunce di filogesuitismo, di intolleranza e di complotto ai danni del governo imperiale pubblicate contro di lui e il Caleppi dal segretario G. Egisti a seguito del suo licenziamento (1782). Ma di là dalle vendette personali che comunque testimoniano efficacemente dell’ostilità che circondava il G., questi contribuì di fatto all’irrigidimento delle posizioni e al peggioramento delle relazioni tra Vienna e Roma. Si oppose, infatti, alla politica di tolleranza nei confronti degli acattolici e ingaggiò un aspro scontro sulle decisioni relative alla soppressione di monasteri e conventi. Nel 1782 ebbe una violenta controversia in occasione della pubblicazione del pamphlet antipapale Was ist der Papst? di J.V. Eybel e, nel corso del viaggio a Vienna di Pio VI durante il quale fu costantemente accanto al pontefice come ascoltato consigliere nelle trattative con Giuseppe II, fece pubblicare, finanziandoli, numerosi scritti apologetici a difesa dei diritti papali.

I libri, del resto, occuparono un ruolo centrale nella vita e nelle strategie politiche del G., che, collocato al centro della circolazione libraria europea, se ne servì con grande efficacia in funzione della propaganda filoromana. Bibliomane accanito, non solo aveva raccolto nei suoi viaggi un’imponente biblioteca personale ‑ con collezione di manoscritti e incunaboli in parte versati dopo la sua morte alla Biblioteca Gambalunga di Rimini ‑ ma aveva dotato il seminario della sua diocesi di Montefiascone di una ricca biblioteca di 30.000 volumi. Dopo la sua morte, circa metà della biblioteca personale ‑ ricca di 30‑40.000 volumi ‑ fu posta in vendita e dal catalogo pubblicato in cinque tomi dal libraio M. De Romanis risulta che essa era suddivisa in altrettanti settori (teologia, giurisprudenza, filosofia, letteratura e storia) e che, accanto ai prodotti dell’apologetica cattolica, si trovavano autori protestanti, così come largamente rappresentata era pure la pubblicistica illuministica, con l’Eneyclopédie e le opere di Rousseau, Voltaire, Montesquieu e Raynal. Di rilievo fu inoltre la sua incessante attività di finanziatore di pubblicazioni e di traduzioni, che servì alla promozione, e anche alla carriera, di molti autori del partito «zelante»: così, commissionò a Cesare Brancadoro ‑ bibliotecario dell’arcivescovo di Fermo, futuro nunzio a Bruxelles e poi cardinale del partito degli intransigenti ‑ le traduzioni di diversi libri francesi filopapali, primi tra tutti quelli di Jean Pey. Da questo punto di vista, l’intensa attività culturale e il mecenatismo del G. appaiono diretti alla formazione di una «repubblica dei letterati» d’impronta zelante, al servizio della S. Sede e delle sue rivendicazioni e a difesa dell’assoluto primato papale.

Il 14 febbr. 1785 il G. venne nominato da Pio VI cardinale con il titolo della basilica dei Ss. Giovanni e Paolo e, poco dopo, corse voce di una sua possibile promozione a segretario di Stato. Sfumata tale carica, nell’agosto di quell’anno lasciò la nunziatura di Vienna al suo successore G.B. Caprara e fece ritorno a Roma e nella sua diocesi. Il pontefice lo inserì quale membro nelle congregazioni di Propaganda Fide, dei Vescovi e Regolari, delle Immunità e delle Indulgenze e dell’Indice.

Forte fu il suo impegno pastorale nella diocesi di Montefiascone e Corneto, ove si occupò della formazione del clero nei seminari diocesani ma anche del miglioramento delle attività agricole, proteggendo la Società georgica di Corneto ‑ di cui però non fu il fondatore, come asserisce Vanysacker (era, infatti, sorta nel 1784 ad opera di Luigi Gilj in connessione con quella più nota di Montecchio) ‑, sostenendo l’attività di filatura locale e fondando istituti assistenziali. Inoltre, la permanenza nella sua diocesi gli consentì di riprendere l’attività di studioso in occasione della scoperta a Corneto (oggi Tarquinia) della tomba etrusca con affreschi, detta «tomba del Cardinale», la cui dettagliata descrizione e interpretazione, redatta proprio dal G., venne pubblicata da Girolamo Tiraboschi nella seconda edizione (1787‑94) della sua Storia della letteratura italiana.

I soggiorni a Montefiascone e la malattia avanzante non gli impedirono di svolgere ancora un ruolo politico importante a Roma: la rete di relazioni e di corrispondenze intrattenute in tutta Europa non solo lo confermarono quale pilastro del partito intransigente e filoromano, ma soprattutto, per le informazioni che riceveva e per la competenza che gli era riconosciuta nel campo della politica ecclesiastica internazionale, gli assicurarono un ruolo di consigliere nelle questioni politiche più delicate e di mediatore tra la S. Sede e il clero degli altri paesi restato fedele a Roma. Così il G. ebbe parte tanto nella redazione della confutazione ufficiale, pubblicata a Roma nel 1789 con la collaborazione dell’ex gesuita F.A. Zaccaria, delle cosiddette puntuazioni di Ems ‑ un documento episcopalista e febroniano redatto nel 1786 dai vescovi austriaci riformatori ‑, quanto nelle controversie relative alla neoistituita nunziatura di Monaco, quanto, infine, nella condanna della Costituzione civile del clero (1791) e nella reazione romana alla Rivoluzione francese. In effetti, grazie soprattutto alla corrispondenza intensa con l’abate Pey a Parigi, e con l’abate Beck a Strasburgo, il G. era informato passo passo degli eventi francesi e provvisto dei documenti e delle lettere pastorali prodotte dai vescovi francesi, che egli trasmetteva, insieme con le lettere dei suoi informatori, al papa e al segretario di Stato, Francesco Saverio de Zelada: tali documenti costituiscono oggi una cospicua raccolta conservata tra le sue carte (Fondo Garampi, 284).

Il G., che deplorava nelle sue lettere «i lamentevoli progressi di una delle più fiere persecuzioni contro la chiesa» (Vanysacker, p. 255), individuava le cause della rivoluzione nel gallicanesimo e nel giansenismo che non avevano riconosciuto il primato e l’infallibilità del pontefice. Dagli ambienti giansenisti, del resto, egli si era oramai del tutto staccato, come dimostrano le sue secche risposte alle lettere inviategli da Scipione de’ Ricci, vescovo di Prato e Pistoia, per sollecitare ‑ con il sostegno del comune amico G.C. Amaduzzi (Caffiero, Culturae politica, pp. 113 s.) ‑ un intervento del G. a difesa delle sue iniziative riformatrici in Toscana. Il G., dopo un iniziale interesse, fece una rapida inversione di rotta e non solo si spinse fino a concordare le sue risposte al Ricci con il segretario di Stato e con il pontefice in persona, ma entrò anche a far parte di una delle commissioni che doveva esaminare gli Atti del sinodo di Pistoia, fatti pubblicare dal Ricci nel 1788, per procedere alla loro condanna. Come scriveva l’Amaduzzi al Ricci, la rottura con il fronte riformatore era dunque consumata per «la pusillanimità del Cardinale, che fa precedere le etichette cardinalizie ai giusti doveri ecclesiastici, e sacrifica la verità alla politica» (ibid., p. 118). Anche l’influenza esercitata sui redattori del Giornale ecclesiastico di Roma consentì al G. di aprire un altro fronte efficace, quello del giornalismo, per proseguire la sua battaglia filoromana. Infine, egli giocò un certo ruolo anche nel sostenere la rivolta scoppiata nel Brabante (1789) contro Giuseppe II e le sue tiforme ecclesiastiche.

Già afflitto da reumatismi e da idropisia, trascorse gli ultimi anni della sua vita viaggiando tra Roma e Montefiascone e cercando di recuperare la salute in località salubri.

II G. mori il 4 maggio 1792 a Roma, nel Collegio Germano‑Ungarico di cui era stato nominato protettore nel 1790, e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo.

Il G. appare un personaggio emblematico di quella fase critica della storia della Chiesa che caratterizza l’ultimo scorcio del Settecento: partito da un cattolicesimo illuminato e riformatore egli approdò a una concezione tipica dello zelantismo filocuriale e filopapale più intransigente, nel timore che la diffusione delle tesi episcopaliste e del radicalismo giurisdizionalista giuseppino portasse alla rottura dell’unità cattolica; la definizione di «ultramontano illuminato» attribuitagli dal Vanysacker può essere quindi accolta solo nel senso che il G. bene incarna le strategie di riconquista cattolica elaborate dai settori zelanti e intransigenti della Chiesa contro gli attacchi del mondo moderno: strategie la cui efficacia duratura nel tempo si basava sulla capacità di utilizzare gli stessi strumenti creati dall’illuminismo contro i Lumi e la Rivoluzione. Dal G., in maniera particolare, la cultura e la stampa in genere erano concepite in funzione di militanza e come strumento essenziale della propaganda cattolica. In questo senso egli, come molti altri esponenti zelanti, può essere considerato un anticipatore dell’intransigentismo cattolico ottocentesco.

FONTI E BIBL.: Le fonti, inedite e edite, e la bibliografia relative al G. sono accuratamente elencate e descritte nella recente e completa biografia di D. Vanysacker, Cardinal G. G. (1725‑1792): an enlightened ultramontane, Bruxelles 1995. Oltre che presso la Biblioteca Gambalunga di Rimini, Fondo Eredi Garampi, il maggior numero delle fonti relative al G., dei suoi scritti, appunti, ecc., è nell’Archivio Segreto Vaticano Fondo Garampi, che conserva in 305 volumi l’archivio personale e larga parte della sua enorme corrispondenza (272‑300), nella Collezione Garampi, nella Collectanea miscellanea Garampi; per l’azione diplomatica e le nunziature molto materiale documentario si trova negli Archivi delle nunziature di Polonia, di Vienna e di Germania, o è stato pubblicato in U. dell’Orto, La nunziatura a Vienna di G. G., 1776‑1785, Città del Vaticano 1995. Presso la Biblioteca apostolica Vaticana si trovano ancora carteggi, alcuni parzialmente pubblicati (Borg. lat., 283; Ferrajoli, 657, 673, 925; Vat. lat. 9278, 9283‑9287, 10006, 12550‑12553), estratti e relazioni da archivi e biblioteche (Vat. lat. 9797, 12906) e relazioni varie (Vat. lat. 9195, 9200, 9201, 9271, 9278, 9283, 9285‑87, 12906, 12940, 12956, 13110). A Pesaro nella Biblioteca Oliveriana è conservata la corrispondenza del G. con A. degli Abbati Olivieri, mentre nella Biblioteca Gambalunga di Rimini sono conservate le lettere inviate a Giovanni Bianchi. Altri carteggi sono reperibili nella Biblioteca comunale di Forlì, nella Biblioteca civica di Verona, nella Biblioteca Riccardiana di Firenze, nella Biblioteca dell’Accademia dei Lincei e Corsiniana di Roma. Il catalogo di parte della biblioteca del G. è pubblicato in M. De Romanis, BibliothecaeI. G. cardinalis catalogus materiarum ordine digestus et notis bibliographicis instructus, I‑V, Romae 1795‑96. Per le biografie precedenti a quella di Vanysacker (che segnala un’anonima e medita vita settecentesca del G. in Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 9283, cc. 606r‑6I7v: Notizie intorno alla vita, ed agli scritti del cardinal G. G. patrizio riminese), si vedano F. Cancellieri, Notizia sul cardinale G. G. con un saggio inedito di sue riflessioni sopra un antifonario membranaceo del secolo XIV, ed alcune lettere, in Memorie di religione, di morale e di letteratura, XI (1827), pp. 384‑442; E. Bianchi, Commentario intorno la vita e gli scritti del cardinale G. G., Foligno 1876; C. Tonini, Storia e critica. Biogr. del cardinal G. G., in Id., La coltura letteraria e scientifica in Rimini…, I, Rimini 1884, pp. 460‑488; Biogr. del card. G. G. Inedito di Luigi Tonini nella Bibl. Gambalunga di Rimini (Mss. Tonini, busta XV), a cura di E. Pruccoli, Rimini 1987. Particolarmente importanti per lo studio dei viaggi e dell’attività diplomatica del G. sono i lavori, ampiamente citati da Vanysacker, di I.P. Dengel, Ein Bericht des Nuntius Josef G. über Boehmen im Jahre 1776, Praga 1902; Id., Die politische und kirchliche Tätigkeit des Monsignor Josef G. in Deutschland 1761‑1763. Geheime Sendung zum geplanten Friedens‑Kongress in Augsburg und Visitation des Reichsstiftes Salem, Roma 1905; Id., Nuntius Josef G. in Preussisch Schlesien und in Sachsen im Jahre 1776. Bericht über seine Reise von Warschau über Breslau nach Dresden, in Quellen und Forschungen aia italienischen Archiven und Bibliotheken…, V (1903), 2, pp. 223‑268; vedi inoltre U. Dell’Orto, La nunziatura a Vienna di G. G., 1776‑1785, Città del Vaticano 1995. Cfr. anche le voci di D. Vaccolini, G. G.,in Biogr. degli italiani illustri, a cura di E. De Tipaldo, III, Venezia 1836, pp. 318‑320; G. Moroni, Dir. di erudizione storico‑ecclesiastiza, XXVII, pp. 169‑172; Enc.cattolica, V, coll. 1932 s.; Dict.d’hist. et de géogr. ecclésiastiques, XIX, coll. 1141 s. Alla vastissima bibliografia sul G., riportata dal Vanysacker, sono da aggiungere, per la mediazione di Amaduzzi nel rapporto tra il G. e Scipione de’ Ricci, M. Caffiero, Cultura e religione nel Settecento italiano: Giovanni Cristofano Amaduzzi e Scipione de’ Ricci, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXVIII (1974), pp. 109‑119, 125 XXX (1976), pp. 430 s. e, sugli studi agiografici, Id., Dall’esplosione mistica all’apostolato sociale (1650‑1850), in Donne e fede. Santità e vita religiosa in Italia, a cura di L. Scaraffia ‑ G. Zarri, Roma‑Bari 1994, pp. 346‑349.

M. CAFFIERO