Felice Contelori (27.XI.1626-dicembre 1644)

Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 28, pp. 336-341 edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.

Primogenito di Giovanni Maria, giudice criminale, e di Lucrezia Libicini, nacque a Cesi (Terni) nel dicembre del 1588.

Nel 1611 era a Roma, studente del Collegio Romano e sotto la protezione del cardinale Scipione Borghese, il quale gli ispirò una pubblicazione in versi latini, Chori in laudem Scipionis Burghesii, edita in quell’anno a Roma.

Risalgono probabilmente a quell’epoca le centotrenta poesie latine da lui composte, che rimasero, in manoscritto autografo, nella sua biblioteca e che sono ora conservate nella Biblioteca dell’Accademia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone, fra le Carte Amaduzzi. Da esse G. Pirani estrasse alcune odi, che pubblicò in Opuscoli religiosi letterari e morali (s. 4, V) nel 1879. L’interesse per la poesia latina e per i classici del C. in questo periodo è ulteriormente dimostrato dall’edizione da lui data alle stampe nel 1613 a Viterbo: Duorum illustrium poetarum Io. IovianiPontani… et Gasparis Murtulae… naeniarum sive nutriciarum libri tres. Inoltre, nella già citata biblioteca di Savignano si conservano quaranta poesie di Catullo, ridotte dal C. ad uso degli studenti e nella Biblioteca Angelica di Roma (B. 2. 16) rimane, manoscritta, una sua traduzione in latino del Pluto di Aristofane. Un biografo del C., G. C. Peresio (Vita di mons. F. C., Roma 1684) sostiene anche che egli scrisse una tragedia dal titolo di Horatius. Si chiude qui il periodo di interesse del C. per la poesia latina e le letterature classiche.

Nel 1614, a Roma, egli dette alle stampe la De Deo trino et uno oratio. Era stato incaricato di comporla dalla cappella pontificia ed egli l’aveva tenuta il 25 maggio di quell’anno in S. Maria Maggiore. Nell’indirizzo di dedica a Paolo V, il C. affermava ancora di essere protetto e favorito dal cardinal Borghese. Due anni più tardi, il C., che intanto si era addottorato in teologia e in utroque iure, pubblicava, a Roma, il De ascensione Domini sermo, che egli aveva recitato il giorno dell’ascensione in S. Pietro.

Sicuramente prima del 1626 e forse anche prima della morte di Paolo V, il C. scrisse il De annona seu de re frumentaria, inedito ed ora contenuto nelle cc. 10‑62 del codice fattizio Vat. lat. 12.247 della Biblioteca Vaticana.

Questo codice, che come tutti quelli contenenti opere del C. di questa biblioteca ed appartenenti al fondo dei Vat. lat., fu conservato fino al 1920 all’Archivio Segreto Vaticano ed allora traslato nella biblioteca (Arch. Segr. Vatic., Indici 1029, cc. 80‑81), risulta composto anche da due minute della medesima opera. Questa, dedicata a Lelio Biscia, uno degli esecutori testamentari del padre del C., è divisa in dieci capitoli. In essa, che termina con un panegirico di Paolo V, l’autore, dopo aver elencato i magistrati romani preposti all’ufficio dell’Annona, suggerisce una serie di provvedimenti pratici atti ad assolvere lodevolmente a questo ufficio.

Assunto nello studio di G. B. Coccino, decano della S. Rota ed altro esecutore testamentario del padre, al C. fu affidata la compilazione del catalogo per materie dei libri legali della biblioteca del Coccino stesso. Il suo Index legalis authorum fu inserito nei Collectanea doctorum tam veterum quam recentiorum… (Romae 1625) di A. Barbosa. Inoltre, in questa opera figura (I, p. 1104) una dissertazione sul diritto di asilo nelle chiese, che L. Allacci (Apes Urbanae…, Romae 1633, p. 91) indica come lavoro del Contelori.

Mentre esercitava l’avvocatura in Curia con grande successo, il C. fu chiamato ad un compito che fu determinante per la sua vita: i Barberini gli affidarono l’ordinamento della loro biblioteca. Ne conquistò a pieno la fiducia, papa Urbano VIII compreso, se, alla morte di Niccolò Alemanni, egli fu, il 27 nov. 1626, deputato custode della Biblioteca Vaticana. E bene ricordare che a quell’epoca, il primo custode della biblioteca era anche prefetto dell’archivio. L’attività del C. nella biblioteca è nota anche attraverso i codici Vat. lat. 7762 e 7763, che conservano fra appunti, inventari, relazioni, copiosa documentazione della sua amministrazione.

Punto saliente di essa è una relazione che il C. presentò in epoca imprecisata probabilmente al cardinale bibliotecario, Francesco Barberini. In essa venivano elencati e descritti l’ubicazione dei locali, la disposizione dei libri, il numero dei codici latini e greci e degli stampati, lo stato della catalogazione e degli indici, le rendite della biblioteca, il numero, gli emolumenti e i doveri degli impiegati. Come bibliotecario, nel 1628, il C. tentò di acquisire alla biblioteca dei manoscritti caldei, che tenne in custodia, ma che non riuscì a far acquistare; poté invece far trasportare nella biblioteca i libri etiopici che si conservavano nel convento di S. Stefano dei Mori. Una particolare cura mostrò il C. anche per i manoscritti orientali, di cui curò un inventario.

Nella già nominata relazione il C. citava i doveri del primo custode, che erano di compiere le opportune operazioni relativamente ai libri nuovamente acquisiti, tener conto di quelli prestati, rivedere e dirigere il lavoro degli scrittori. Riguardo all’assistenza agli studiosi, il C. che aveva avuto bisogno di un permesso accordatogli, il 4 febbr. 1627 (e rinnovatogli nel 1630), per consultare i libri da lui custoditi, esercitava il suo ufficio in modo assai restrittivo. L. Holste, infatti, in alcune lettere del 1628 e del 1629, denunciava ad un amico la «barbarie dell’imperitissimo custode», che paragonava ad un drago, si doleva di non poter consultare né libri, né cataloghi, di non poter trascrivere, né collazionare codici.

Durante il periodo in cui fu bibliotecario il C., un merito del quale fu quello di aver esattamente valutato l’opera del falsario A. Ceccarelli (Vat. lat. 9200, cc. 200 ss. ed anche carta di guardia del Vat. lat. 4911), pubblicò tre opere giuridiche.

Nel 1627 G. A. Massobrio inserì (p. 208) nella sua Praxis habendi cuncursum ad vacantes parochiales ecclesias…, edita a Roma, un’allegazione giuridica del C. sulla facoltà dei vescovi di conferire benefici ecclesiastici; l’anno dopo egli pubblicò a Lione le Quaestiones duae…, il titolo completo della prima delle quali è De praecedentia debita religioni Praedicatorum eiusque r. magistro generali in sessionibus et aliis actibus publicis et privatis, e quello della seconda Super quibus officiis societates officiorum contrahi possint et an ultra valorem officii sustineantur. Esse riflettono però interessi del C. anteriori all’assunzione del ruolo di bibliotecario ed archivista e probabilmente, com’è poi nella norma, erano opere scritte un po’ prima della data di edizione. Riguarda invece il suo lavoro di archivista l’opera rimasta manoscritta e compilata presumibilmente nel 1627 e nel 1628, intitolata Historia Cameralis seu de dominio et iurisdictione Sedis apostolicae Ecclesiaeque romanae in regna, provintias, civitates, castra, terras et alia loca.

Essa è composta da una serie di regesti di bolle e altri atti non anteriori ad Urbano VI e non posteriori a Clemente VII; vi sono dichiarati i fondi archivistici che conservano i documenti regestati e favoriscono la consultazione numerosi indici. E composta di cinque volumi, in cui non è seguito un ordine cronologico. I cinque codici che contengono l’opera, conservati nella Biblioteca Vaticana (Barb. lat. 2704‑2708), sono dedicati al cardinale bibliotecario Francesco Barberini; i sette, conservati nell’Archivio Segreto (Sala degli Indici, nn. 99‑105), che contengono due copie non complete dell’opera stessa, sono dedicati ad Urbano VIII. Il lavoro non è, nonostante il titolo, una compilazione storica, né va visto come una preparazione o un tentativo di storia della Camera apostolica, ma come un poderoso strumento funzionale alla consultazione dei vari fondi archivistici relativamente a quesiti ed a problemi che interessavano questo istituto. A tale proposito si deve quindi dire che l’opera del C. nell’archivio fu indefessa ed immane.

La sua attività fu infatti volta non tanto a produrre, quanto a crearsi strumenti di lavoro, che gli permisero di rispondere ad un gran numero di quesiti, di servire la Sede apostolica, documentandone storicamente le pretese, di dare il suo parere su questioni politiche e giuridiche di gran momento. Probabilmente l’interesse del C. era volto più all’archivio che alla biblioteca ed in ogni modo, quando nel 1630 avvenne la separazione definitiva fra queste due istituzioni il C. rimase a dirigere l’archivio, carica che gli venne confermata nuovamente il 27 agosto del 1635.

Nato appena nel 1612, l’archivio era ancora in via di formazione e lo stato dell’inventanazione era, più che carente, inesistente, come il C. non aveva mancato di riferire nella sua relazione. Il 7 maggio 1630, pochi mesi prima che egli ne assumesse la prefettura, all’archivio furono trasferiti dalla biblioteca gli atti originali del concilio tridentino ed i cerimoniali; l’anno precedente esso aveva acquisito i registri da Paolo III a Pio V, prima conservati nella Segreteria dei Brevi e il 10 sett. 1630 vi furono trasferiti i libri detti Diversorum e altro materiale dall’archivio della Segreteria apostolica (per questi ultimi vedi Arch. Segr. Vat., Sala degli Indici, nn. 287, 288, c. 242).

Intanto il C. assumeva altre cariche ed altri uffici. Già dal 1627 egli era divenuto commissario della Congregazione dei Confini e nel medesimo 1630 fu fatto commissario generale della Camera apostolica (Arch. Segr. Vat., Arm. XXXVII, 1‑27).

Nel 1631, in occasione dell’assunzione alla carica di prefetto di Roma di Taddeo Barberini, il C. dette alle stampe, a Roma, il primo dei suoi lavori, nati dalla consultazione e dallo studio dei fondi archivistici dell’Archivio Vaticano, il De praefecto Urbis, che egli dedicò al Barberini. Si occupava di questa tematica almeno dal 1629, quando aveva risposto ad un quesito sul diritto di precedenza goduto dal prefetto dell’Urbe e probabilmente già in precedenza, da quando cioè se ne interessava Urbano VIII, che nel 1624 aveva concluso la convenzione della devoluzione del ducato di Urbino alla S. Sede alla morte di Francesco Maria Della Rovere, il quale deteneva la carica di prefetto dell’Urbe.

Dell’opera nella Biblioteca Apostolica Vaticana esistono tre copie manoscritte (Barb. lat. 2426, 2411 e 2371); altri tre codici (Vat. lat. 12.933, Vat. lat. 12.161 e Barb. lat. 2370): contengono materiale inerente all’argomento o testi in parte diversi da quello stampato. L’opera, ristampata in A. H. Sallengre, Novus Thesaurus Antiquitatum Romanarum, I, Hagae Comitum 1716, p. 509, è divisa in sei capitoli, che trattano dell’origine e dell’antichità della prefettura di Roma, della cerimonia dell’investitura, dell’ufficio del prefetto, dei poteri e della giurisdizione della prefettura urbana, delle prerogative dell’ufficio; lo ultimo, che fornisce la serie dei prefetti dai tempi di Romolo all’epoca dell’autore, è il più vasto ed anche quello più trascurato e più criticabile per imprecisioni, omissioni ed errori.

Nel medesimo 1631 il C. fece parte della congregazione istituita da Urbano VIII dopo che aveva fatto occupare militarmente il ducato di Urbino da Taddeo Barberini, alla notizia dell’imminente morte del Della Rovere. Nel Barb. lat. 5045 della Bibl. Vaticana sono conservate le suppliche delle città che componevano il ducato alla S. Sede; le decisioni della Congregazione sulle questioni camerali di quello Stato, le grazie concesse dal papa ed «ea quae scribebat Felix Contelonius».

Dall’inizio del secolo gli storici avevano preso posizione contro o a favore del giudizio espresso da C. Baronio a proposito dell’aiuto fornito dai Veneziani ad Alessandro III nella controversia che lo oppose a Federico Barbarossa. Lo storico, basandosi sugli Atti di Alessandro III e sul Chronicon di Romualdo Salernitano aveva smentito l’opinione fino ad allora accettata che voleva che il papa dovesse ai Veneziani di aver conservato il trono di Pietro, sostenendo egli invece che il papa, libero e potente, si era recato nel 1177 a Venezia per incontrarvi l’imperatore. Nella Biblioteca Vaticana parecchi sono i codici che provano quanto il C. abbia lavorato sulla questione: i Barb. lat. 2674 e Vat. lat. 11.995, dal titolo Caesar Baronius…, Boso Anglicus…, Romualdus… Salernitanus… ab erroribus vindicati, Obo… fictus author explosus, sive notae et animadversiones ad F. Ulmi libellum… (F. Olmi era stato l’ultimo a voler scientificamente sostenere la versione dei Veneziani, portando la testimonianza di Obone); il più parziale Barb. lat. 2478, Romualdus ab iniuriis vindicatus seu responsio ad nonum caput libelli cuius est titulus «Historia…»; il Vat. lat. 11.996, contenente Responsiones ad F. Ulmi testimonia, ed i Vat. lat. 11.993, 11.997, 11.998, 11.999 e 12.003, tutti contenenti regesti, bolle, documenti ed appunti vari riguardanti Alessandro III. Il Barb. lat. 2563 contiene il testo che nel 1632 fu stampato a Parigi, la Concordiae inter Alexandrum III S. P. et Fridericum I imperatorem Venetiis confirmatae narratio.

Nell’opera, in cui il C. dà una parziale edizione del Chronicon di Romualdo Salernitano basata sul codice Vat. lat. 3973, dopo una breve introduzione che illustra lo stato della controversia, egli confuta ad una ad una, riportandole alla lettera, le affermazioni dello Olmi e quelle attribuite ad Obone. Conseguenza del libro del C. fu la decisione del papa di eliminare dalla raffigurazione dell’episodio del 1177, dipinta per Pio IV da G. Porta nella sala regia del Vaticano, le didascalie che illustravano l’avvenimento secondo l’interpretazione veneziana. I rapporti fra il papa e Venezia si andarono in seguito sempre più deteriorando, tanto che nel 1635 Urbano VIII fece apporre una nuova versione, contraria a Venezia, dell’iscrizione e si arrivò al ritiro da Roma dell’ambasciatore veneziano; fu comunque da questo episodio che nacque l’avversione di Venezia per il C., che fu per lui gravida di conseguenze.

Nei dieci anni successivi il C. pubblicò a Lione nel 1634 il Tractatus et praxis de canonizatione sanctorum, e nel 1641, a Roma, l’Elenchus em. et rev. S. R. E. cardinalium ab anno 1294 ad annum 1430 e Martini Quinti vita ex legitimis documentis collecta.

Nella prima di queste due opere, dedicata al cardinale Francesco Barberini, sono elencati i cardinali sotto il nome del pontefice che li ha eletti e secondo la data della loro nomina. Ad essa il C. si accinse con l’intento di correggere e completare il De vitis Summorum Pontificum et S. R. E. cardinalium di A. Chacón. Nella biografia di Martino V, dedicata al cardinale Gerolamo Colonna, il C., come nella prima opera, fa una lista delle fonti stampate e manoscritte di cui si è servito e inserisce nel testo la trascrizione integrale di parecchi documenti, tutti tratti dall’Archivio Vaticano. Di quest’opera esiste nella Biblioteca Apostolica Vaticana il manoscritto (Barb. lat. 2342), mentre relativi alla serie dei cardinali sono il Barb. lat. 2465 e i Vat. lat. 12.005 e 12.137; il Vat. lat. 12.493 contiene le Vitae Romanorum Pontificum, mentre il Vat. lat. 12.000 contiene annotazioni e documenti sulla serie dei vescovi, che forse il C. aveva in animo di compilare.

Era allora in atto la guerra di Castro; uscì così anonima, ma del C., una Lettera scritta ad un signore in risposta del libro stampato sopra le ragioni del ser.mo duca di Parma contro la presa della città e ducato di Castro esseguita dall’armi pontificie nell’anno 1641, s. n. t., ma probabilmente del 1642. Essa non è l’unica risposta che fu data all’operetta, anch’essa anonima, intitolata Vera e sincera relazione delle ragioni del duca di Parma contra la presente occupazione del ducato di Castro, in cui si dicevano i cardinal nipoti responsabili di aver alienato al duca di Parma il favore di Urbano VIII.

Il C., che destina la sua lettera «all’onore della verità delle ragioni della S. Sede» accusa l’autore della Vera e sincera relazione di non aver bene inteso gli autori citati per avvalorare la sua tesi, i quali talvolta affermano addirittura il contrario di quanto egli voglia far dir loro, di averli citati inesattamente e di aver omesso testimonianze importantissime. Il C. quindi confuta, basandosi su documenti e citazioni, ogni affermazione del difensore del duca di Parma, che egli accusa di aver riempito «le carte di livore e di errori». Se non precisamente del ducato di Castro, il C. si era già occupato della questione del ducato di Parma e Piacenza, che poco meno di un secolo prima aveva portato alla guerra fra Ottavio Farnese e Giulio III. Egli aveva raccolto una copiosa documentazione, parte della quale sembra essere andata dispersa. Nella Biblioteca Apostolica Vaticana, nei Barb. lat. 2702, 2392, 2354 e 5357 sono conservati regesti e documenti integrali in copia che vanno dal 1449 al 1554; di essi il Barb. lat. 2392, che era terminato nel 1629, contiene anche un proemio che illustra l’episodio dell’occupazione di Piacenza da parte di Ferrante Gonzaga nel 1547.

Molti altri codici conservati nella biblioteca e nell’archivio vaticani confermano l’indefessa operosità del Contelori.

Potrebbe riferirsi ai primi anni di attività del C. nell’archivio la raccolta di documenti e notizie sull’elezione dei papi, Repertorium de electione romani pontificis (Arch. Segr. Vat., Sala degli indici, n. 106); posteriore sicuramente la raccolta simile, dedicata al cardinale Francesco Barberini, intitolata Quaedam historica quae ad notitiam temporum pertinent pontificatuum Leonis X, Adriani VI et Clementis VII ex libris notariorum sub iisdem pontificibus (Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 2428); la raccolta di regesti che vanno da Ottone I al 1368 dal titolo Imperatorum, regum ac principum imperii maiora in Sedem apostolicam privilegia ac iuramenta, è conservata nei codici Barb. lat. 2427 e Vat. lat. 12.001 della predetta biblioteca, ma anche nel Cors. 803 della Biblioteca dell’Accademia dei Lincei e Corsiniana. Il C. si occupò anche della questione dei confini ferraresi. Esistono nella Biblioteca Vaticana i Barb. lat. 1300 e 1302, in cui il C. esamina il problema, concludendo che la giurisdizione che i Veneti pretendono di avere sull’Adriatico non si estende ad alcuna parte del territorio ferrarese; alla dissertazione seguono estratti e regesti di documenti che avvalorano le argomentazioni sul buon diritto della S. Sede. Altri due codici, i Barb. lat. 1299 e 1301 riportano una forma meno ampia di questa relazione, seguita dai pareri legali di tre giuristi. Nel Barb. lat. 2618 (cc. 29‑43) c’è il testo intitolato An electores S. R. I. septem numero et non plures adessent Innocentio III S. P., che in italiano è anche alla Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele II di Roma (S. Pantaleo 60, cc. 35‑44); una raccolta di testimonianze sull’elezione del re dei Romani, dedicata al cardinale Francesco Barberini, è conservata nel Barb. lat. 1931. Estratti, recensioni, raccolte di privilegi, relazioni di ambasciatori, indici, elenchi, notizie toccanti vari argomenti, fra cui il Monferrato, i senatori di Roma, Milano, la basilica di S. Paolo, sono conservati nella Biblioteca Vaticana, in Barb. lat. 2366, Vat. lat. 12.002, Barb. lat. 1524 (cc. 271‑88), Barb. lat. 2391 (2 e 3), Barb. lat. 3150 (cc. 376 ss.), Vat. lat. 12.006, Barb. lat. 2658 e Vat. lat. 12.004 e nella Sala degli Indici dell’Archivio Segreto Vaticano (nn. 110‑116). Il C. si dedicò anche alla trascrizione di un testo di Onorio III, che seguiva il Liber de censibus. Esso con il titolo di Liber ritualis Ecclesiae Romanae Cencii de Sabellis S. R. E. camerarii, dein pontificis sub nomine Honorii tertii ex vetusto codice descriptus conservato nella Biblioteca Vaticana, in Barb. lat. 2463 e Barb. lat. 2592, dedicato al cardinale Francesco Barberini. Questo testo fu utilizzato dal Migne (Patr. lat., LXXVIII, coll. 1065‑1102), che pubblicò quest’opera, già edita da J. Mabillon (Museum Italicum, II, Paris 1689, pp. 167‑215) ed ora edita criticamente in P. Fabre ‑ L. Duchesne (Le Liber censuum, I, Paris 1910, pp. 290‑314) con il titolo di Ordo Romanus.

Il metodo di spoglio analitico delle fonti documentarie del C., secondo il quale, al dire di G. C. Peresio, egli «dilucidava con veridici rincontri molti fatti, che pel trascorso lungo degli anni, e per la trascuraggine de’ scrittori, se n’era oscurata in gran parte la verità de’ successi, che furono rimessi al chiaro, col racconto d’autentiche scritture da lui rinvenute», è riconosciuto, anche da recenti critici, come un valido apporto all’erudizione, cosicché egli viene ad essere considerato, come felicemente si esprime il Beltrani, l’anello di congiunzione fra il Baronio e l’Ughelli.

Intanto il C. aveva cumulato altre cariche e altri onori. Il 10 giugno 1634 era divenuto canonico di S. Pietro; il 17 genn. 1635 referendario utriusque Signaturae; alla stessa epoca segretario della Consulta. Tracce della sua attività, della sua onnipresenza e del suo potere appaiono in tutti gli istituti della Chiesa in quell’epoca. Il 12 apr. 1644 veniva nominato segretario dei Brevi ai principi (Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 1981), divenendo infine, il 18 giugno 1644, prelato domestico del papa. comprensibile che si ritenesse matura la sua elezione a cardinale, ma la morte di Urbano VIII non solo pose fine alla sua ascesa, ma anzi determinò la sua caduta in disgrazia.

Il 7 agosto egli recitò davanti al Sacro Collegio nella basilica vaticana un’orazione funebre per il papa defunto, che dette alle stampe (Oratio in funere Urbani VIII…, Romae 1644), ma subito dopo la elezione di Innocenzo X fu sostituito come segretario dei Brevi da Gaspare de Simeonibus. Inoltre, Venezia pretese, per prestare l’omaggio al nuovo pontefice, che il C., il quale aveva declinato l’offerta di una pensione da parte di Luigi XIII, fosse destituito dalla carica di prefetto dell’Archivio. Così avvenne nel dicembre, mentre giungeva nell’Urbe, come inviato speciale della Repubblica, Angelo Contarini, che nella sua relazione da Roma al Senato aveva definito il C. nei suoi rapporti con Urbano VIII «soggetto di tanto credito appresso il papa, quanto che di continuo l’adula e li fa creder che per la revisione da lui fatta di tutte le scritture, la Sede apostolica sia patrona di tutta Italia, per non dire di tutto il mondo» (Le relazioni della corte di Roma lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, I, Venezia 1877, p. 400), giudizio che toccava proprio l’attività di erudito del C., tutta finalizzata all’esaltazione del potere della Chiesa romana. Al C. fu sequestrato, inoltre, tutto il materiale pubblico e privato che aveva in casa; egli continuò, comunque, a mantenere altri incarichi, ma non la segreteria della Congregazione dei Confini.

Poche sono le notizie che si hanno di lui per gli anni che vanno da questo periodo alla sua morte. Si sa che Innocenzo x lo fece presidente della giunta che aveva il compito di tradurre la Bibbia in arabo, anche se non risulta che egli conoscesse questa lingua, e che lo stesso gli concesse che fosse trasferita da lui al nipote Giovanni Maria la badia di S. Maria in Pantano. Composta probabilmente fra il 1631 e il 1644, la Genealogia familiae Gomitum Romanorum (Romae 1650) è l’ultima opera edita del C., che in un indirizzo al lettore spiega come i Conti provengano direttamente dai conti di Signa, risalenti ad Innocenzo III.

Nell’opera seguono all’elenco dei personaggi dell’albero genealogico, oltre gli indici, le probationes genealogiae, regesti ed estratti, cioè, che vanno fino al 1649. Nella Biblioteca Apostolica Vaticana, oltre al Vat. lat. 12.612, che contiene il testo poi stampato, sono conservati anche il Barb. lat. 2383 e il Barb. lat. 9929, che contengono questa opera in forma appena ridotta con il titolo Genealogia comitum Signae, con la dedica a Taddeo Barberini.

Il C. morì a Cesi il 28 sett. 1652 e fu seppellito nella locale chiesa di S. Angelo. Il fratello Giovanni gli fece apporre una lapide a Roma in S. Maria Maddalena. Della sua biblioteca, che P. Totti (Ritratto di Roma moderna, Roma 1638, p. 234) descrive come «una bellissima libreria di tutte le scientie», che era nel palazzo Rivaldi a piazza Navona, di più di dodicimila volumi, al dire del Peresio, e che G. C. Amaduzzi vide a Cesi nel 1769, si sono perdute le tracce.

Postumo uscì, probabilmente nel 1657, a Terni, la Mathildis comitissae genealogia, dedicata dal C. al cardinale Bernardino Spada. Due manoscritti (Barb. lat. 2381 e 2383) di quest’opera sono conservati nella Biblioteca Vaticana. Essa però costituisce solo la prima parte del lavoro del C., De comitissae Mathildis genere et donatione partes duae, intero nel Vat. lat. 12.613 il Vat. lat. 12.614 contiene estratti di documenti inerenti alla genealogia della contessa. Un’altra opera del C. pubblicata postuma fu la Pars altera elenchi S. R. E. cardinalium ab anno 1430 ad annum 1549…, Romae 1659. Il materiale di quest’opera è conservato nel Barb. lat. 2515 della Biblioteca Apostolica Vaticana, mentre i Vat. lat. 12.128-12.132 abbracciano il periodo che va da Martino V ad Innocenzo X. Dai priori di Cesi furono pubblicate a Roma nel 1675, le Memorie istoriche della terra di Gesi raccolte da mons. F. Contelori, che urtarono le pretese della casa Cesi, la quale, avendo già nel 1674 fatto pubblicare un Discorso istorico delle ragioni dell’ecc.mo sig. duca d’Acquasparta per l’Eremita di Porcaria, corse ai ripari provocando la pubblicazione a Napoli nel 1676 della Risposta al libro intitolato Memorie historiche della terra di Cesi raccolte da mons. F. C., in quello che riguarda l’interesse di casa Cesi, di R. A. Bruni. Per controbattere alle accuse di leggerezza fatte da costui al C., che aveva citato documenti senza indicarne la collocazione, gli stessi priori fecero dare alle stampe nel 1680, a Napoli, l’Antirisposta apologetica per le memorie istoriche della terra di Gesi, in cui, rivendicando al C. la paternità del primo libretto, messa in dubbio, si pubblica in appendice una serie di documenti dell’Archivio Segreto Vaticano e della cancelleria di Cesi.

FONTI E BIBL.: L. Holste, Epistolae ad diversos, a cura di J. F. Boissonade, Parisiis 1817, ad Indicem; G. Marini, Memorie istoriche degli Archivi della S. Sede…, Roma 1825, p. 38; G. B. Beltrani, F. C. ed i suoi studi negli archivi del Vaticano, in Arch. della Soc. rom. di storia Patria, II (1879), pp. 165‑208, 257‑279; III (1880), pp. 1‑47 (con ulter. fonti e bibl.); G. Mercati, Opere minori, III, Città del Vaticano 1937, ad Indicem; G. Levi della Vida, Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali…, Città del Vaticano 1939, ad Indicem; G. Gasperoni, Settecento ital., Padova 1941, p. 137; M. Giusti, I registri vaticani…, in Miscell. archivistica A. Mercati, Città del Vaticano 1952, p. 413; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1961, pp. 604, 731, 931 ss.; A. Kraus, Das päpstliche Staatse‑kretariat unter Urban VIII., Rom‑Freiburg‑Wien 1964, ad Indicem (con l’indicaz. di ulter. fonti); J. Bignami Odier, La bibliothèque Vaticane…, Città del Vaticano 1973, ad Indicem. V. Peri, Progetti e rimostranze…, in Archivum hist. Pontificiae, 19 (1981), pp. 210 s.

 

F. PETRUCCI