Luigi Galimberti (1894-1896)

Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 51, pp. 493-494 edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.

Nacque a Roma il 26 apr. 1836 da Angelo, avvocato, e da Angela Patrassi. Nella famiglia, originaria di Bergamo, era avvocato anche il nonno paterno Antonio che, morta la moglie, era entrato nella prelatura romana (Segnatura di giustizia), aprendo la strada al giovane nipote il quale, compiuti gli studi nel Seminano romano, si addottorò in teologia (1858) e in utroque iure (1861). Ordinato sacerdote nel 1860, ebbe un incarico di storia ecclesiastica al collegio Urbano di Propaganda Fide e, dal 1864, prese a insegnare anche nel Seminario romano.

Negli anni della docenza, che si protrasse fino al 1882, il G. svolse anche attività di studio, pubblicando alcuni opuscoli: Apologia proMarcellino Romano pontefice (Roma 1876), Introductio philosophica ad historiam universam (ibid. 1877); toccò anche temi più attuali (Lutero e il socialismo, ibid. 1879; Leone XIII e la storia. Risposta a R. Bonghi d’un prelato romano, ibid. 1883), manifestando una visione politica spogliata da punte troppo intransigenti. Dal 1870 iniziò a collaborare ai giornali cattolici.

Proseguiva parallelamente la sua carriera all’interno dell’ambiente curiale romano, nel quale si era via via radicato: canonico di S. Giovanni in Laterano nel 1868 e protonotario apostolico. Poco si sa delle sue idee fino al 1880: sembra che durante il concilio Vaticano I mostrasse consensi verso alcuni antinfallibilisti, pur aderendo alla tesi prevalente.

La sua formazione culturale della maturità avvenne a contatto con il cardinale A. Franchi, con cui collaborò sia a Propaganda Fide sia nella preparazione del conclave del 1878, quando, per sostenere ‑ anche sul piano della propaganda giornalistica ‑ la candidatura del cardinale G. Pecci (poi eletto con il nome di Leone XIII), il G. fu incaricato di collaborare con alcuni giornali francesi, La Défense (ispirato dal vescovo d’Orléans, F. Dupanloup) e il Figaro.

Nell’attività giornalistica il G. sosteneva le idee dei conservatori nazionali. Nel dicembre 1881 nacque su ispirazione di Carlo Conestabile della Staffa ‑ autorevole esponente dei circoli conciliatoristi e legato ai cattolici liberali d’Oltralpe, morto il 30 dicembre di quell’anno ‑ il Journal de Rome, proprietà della Société générale des publications internationales di Parigi. Inizialmente diretto da François de Yvoire, deputato dell’Alta Savoia, che si dimise ben presto per dissensi con l’editore; al suo posto venne nominato il G., gradito a Leone XIII. La rigida intransigenza che la Société intendeva attribuire al giornale provocò seri contrasti anche con il G., il quale lasciò il Journal de Rome. Seguito dalla redazione al completo, egli fondò allora il 3 ott. 1882 Le Moniteur de Rome, che si contrappose all’intransigenza del Journal seguendo una linea moderata in una visione del papato riconciliato con la modernità.

Inevitabili polemiche sorsero anche questa volta, non solo da parte francese, ma all’interno del giornalismo cattolico europeo più impegnato. La linea perseguita da Leone XIII attraverso il giornale ‑ intesa a un riavvicinamento della S. Sede alla Germania ‑ incontrava logicamente i dissensi da parte di quegli stessi che in Francia avevano già avversato l’azione del G. nel Journal de Rome.

Il 31 luglio 1885, con la nomina a segretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, il G. ottenne un avanzamento rilevante rispetto alle cariche precedentemente assegnatigli (7 marzo 1880: votante nella Segnatura di giustizia; 18 dic. 1883: canonico di S. Pietro).

Lasciata la direzione del Moniteur, egli mise in luce le proprie qualità in campo diplomatico, mostrando ottime capacità intuitive e riuscendo a cogliere realisticamente l’inarrestabile evoluzione storica che aveva portato al quadro politico europeo dell’ultimo trentennio dell’Ottocento. Tese perciò a ricercare attraverso la mediazione rimedi salutari per comporre il vecchio e il nuovo senza salti rivoluzionari. Nel caso italiano, ad esempio, egli si mostrò sempre fautore di una conciliazione tra la S. Sede e il giovane Regno d’Italia: il che lo espose agli attacchi del conservatorismo intransigente in Italia. D’altra parte, anche fuori dai confini italiani l’ostilità francese continuò a giocare un ruolo pesante a suo svantaggio, soprattutto a causa delle sue aperture verso il mondo protestante germanico.

Tra il 1885 e il 1887 cominciò per il G. un periodo decisamente impegnativo di compartecipazione diretta alla politica estera vaticana, che aveva avuto un fugace inizio (subito interrotto) nel 1878, accanto al card. A. Franchi segretario di Stato. A metà degli anni Ottanta la malferma salute del card. L. Jacobini, allora segretario di Stato in carica, consentì al G. di entrare direttamente nel vivo di questioni di un certo rilievo riguardanti aree diverse del mondo, come la Germania, il Montenegro, la Cina.

Proprio nell’ambito della questione cinese il G. venne nuovamente in collisione con gli interessi coloniali francesi per la nomina di un nunzio pontificio a Pechino, operazione nella quale non fu estranea l’interferenza del cancelliere O. von Bismarck. Anche il problema del Montenegro toccava gli interessi di due grandi Stati contendenti nell’area (Russia e Austria‑Ungheria) e si concluse con la stipula di un concordato il 18 apr. 1886, per il quale ottenne risalto anche il problema dell’uso liturgico della lingua slava. Tuttavia, il G. ebbe modo di sviluppare efficacemente la propria influenza nel risolvere l’importante questione germanica. Il contenzioso apertosi ai tempi di Pio IX dopo il concilio Vaticano I, con il neoistituito Impero di Germania, con l’introduzione da parte del cancelliere Bismarck di un corpus di leggi e di provvedimenti ‑ entrati in vigore in particolare in Prussia ‑ tesi a impedire l’ingerenza del papato nella vita religiosa e sociale tedesca (Kulturkampf), fu avviato allora a soluzione. Il compromesso comportò per i cattolici tedeschi l’accettazione sia delle dimissioni dell’intransigente arcivescovo di Gnesen‑Posen, M. Ledochowski, sia delle direttive imposte al Centrum, che dovette rassegnarsi a sostenere la politica interna ed estera del cancelliere tedesco. Analizzando i risultati finali dei negoziati in cui il G. militò in prima linea, se ne può ricavare che per la S. Sede essi furono sicuramente positivi, in quanto caddero le pretese di interferenza statale, avanzate dal 1873, che pregiudicavano la libertà della Chiesa (per esempio nella formazione del clero e nella nomina dei parroci). Mentre di portata più modesta ‑ sul piano religioso ‑ appaiono i vantaggi in favore dello Stato tedesco (riconoscimento del matrimonio civile, esclusione dei gesuiti dall’insegnamento). Criticabili per gli oppositori del G. erano però i metodi attraverso cui si era giunti alla pacificazione e che vedevano in particolare la Chiesa cattolica locale (in realtà molto provata in quegli anni di lotta) sacrificata alle tendenze centralizzatrici della Curia romana. Su questa linea erano non solo i cattolici tedeschi più conservatori, ma anche quelli francesi, i quali non mancarono di denunciare, attraverso la stampa, che quell’accordo si era consumato ai danni della Francia. Conseguentemente, furono duri e prolungati gli atti ostili verso il G., ritenuto il principale responsabile.

Sicuramente dietro l’azione diplomatica del G. vi era la volontà precisa di Leone XIII. Forse il papa ‑ mercé l’indirizzo giudicato germanofilo del suo collaboratore ‑ intendeva raggiungere insieme il doppio obiettivo della pacificazione con l’Impero tedesco e della conciliazione con il Regno d’Italia, tramite l’appoggio del Bismarck. Ma alla fine la situazione evolse in maniera sfavorevole al Galimberti. Furono probabilmente le critiche mosse contro di lui da un’ampia fascia di cattolici la ragione per cui, alla morte del segretario di Stato L. Jacobini, il papa non poté proporlo quale suo successore (come molti si attendevano), preferendogli il card. M. Rampolla, la cui candidatura accontentava in particolare i cattolici francesi.

Il G. però non fu accantonato e fu nominato nunzio a Vienna (27 apr. 1887) con il titolo di arcivescovo di Nicea. Operava ancora dunque in ambito germanico e questa volta con l’obiettivo dichiarato di giungere a una possibile riconciliazione fra la S. Sede e l’Italia con l’appoggio ‑ oltre che dei cattolici austriaci ‑anche del Bismarck, con l’obiettivo di ottenere per lo meno la sovranità del papa su un territorio minimo su cui esercitare il potere temporale. Tuttavia anche un ulteriore viaggio a Berlino del G. nel 1888 (dove era stato in missione ufficiale l’anno prima) non ottenne gli effetti desiderati. Varie circostanze giocarono sfavorevolmente e la politica inaugurata dal nuovo segretario di Stato, propensa in modo spiccato alla Francia, non lo agevolò.

Alla conclusione della nunziatura a Vienna, come voleva la prassi, Leone XIII lo creò cardinale il 16 genn. 1893 ed ebbe il titolo dei Ss. Nereo e Achilleo. L’anno successivo fu nominato prefetto degli Archivi della Santa Sede.

Il G. mori a Roma il 7 maggio 1896 e venne sepolto nel cimitero di Campo Verano.

FONTI E BIBL.: Nell’Archivio segreto Vaticano è conservato lo Spoglio Galimberti, formato da tre cartelle; più interessante la documentazione che si trova nelle varie sezioni della segreteria di Stato negli anni in cui il G. svolse la sua attività diplomatica (ma si tenga presente che non esiste distribuzione ordinata del materiale del pontificato di Leone XIII, ancora in via di sistemazione).
C. Crispolti ‑ G. Aureli, La politica di Leone XIII da L. G. a Mariano Rampolla. Su documenti inediti, Roma 1912; S. Münz, Aus Quirinal und Vatikan. Studien und Skizzen, Berlin 1891, pp. 183‑190; R. De Cesare, I nuovi cardinali, in Nuova Antologia, 1° febbr. 1893, pp. 409‑432; Id., Il Dottor Schloezer e la fine del Kulturkampf, ibid., 1° luglio 1894, pp. 22‑41; C. Crispo Moncada, II card. G. e l’insegnamento della storia ecclesiastica, Palermo 1895; R. De Cesare, Il card. G., in L’illustrazione italiana, 17 maggio 1896, pp. 308-310; G. Grabinski, Il cardinale G., in Rass. nazionale, 16 maggio 1896, pp. 376‑416; M. Manfredi, Intorno all’e.mo card. L. G., Atri 1896; S. Münz, Römische Reminiszenzen und Profile, Berlin 1900, pp. 252‑270; R. De Cesare, La politica di Leone XIII e i cardinali Rampolla e G., in Rass. contemporanea, V (1912), pp. 193‑203; V. Procacci, La questione romana. Le vicende del tentativo di conciliazione del 1887, Firenze 1929, passim; E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, I‑III, Milano 1932‑33, passim; F. Crispolti, Corone e porpore. Ricordi personali, Milano 1936, pp. 41‑48; P. Romano, Famiglie romane, Roma 1942, pp. 38‑40; F. Fonzi, Documenti sul conciliatorismo e sulle trattative segrete fra governi italiani e S. Sede dal 1886 al 1897, in Chiesa e Stato nell’Ottocento, Misc. in on. di P. Pirri, Padova 1962, pp. 167‑242; F. Malgeri, La stampa cattolica a Roma dal 1870 al 1915, Brescia 1965; E. Soderini, Crispi e il suo tempo, in Rass. storica toscana, XVI (1979), pp. 1‑120; Chr. Weber, Kirchliche Politik zwischen Rom, Berlin und Trier, 1876‑88. Die Beilegung des preussischen Kulturkampfes, Mainz 1970, ad indicem; O. Confessore, Conservatorismo politico e riformismo religioso. «La Rassegna nazionale» dal 1898 al 1908, Bologna 1971, ad ind.; R. Mori, La politica estera di Francesco Crispi (1887‑1891), Roma 1973, ad ind.; Chr. Weber, Quellen und Studien zur Kurie und vatikanischen Politik unter Leo XIII, Tübingen 1973, ad indicem, in partic. pp. 160‑166; Id., in Dict. d’histoire et de géogr. ecclés., XIX, coll. 785‑792, s. v. (un profilo critico esauriente a cui si rimanda per ulteriore bibliogr. e messa a punto di alcuni problemi); si veda anche R. Aubert, Leone XIII: tradizione e progresso, in La Chiesa e la società industriale (1878‑1922), a cura di E. Guerriero ‑ A. Zambarbieri, I, Cinisello Balsamo 1990, pp. 61‑106.

M.F. MELLANO


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