Francesco Barberini (1626-1633)

Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 6, pp. 172-176 edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.

Nacque a Firenze il 23 sett. 1597, da Carlo e Costanza Magalotti. Educato agli studi giuridici, letterari e filosofici, per i quali mostrò una forte inclinazione, frequentò l’università di Pisa dove conseguì la laurea in utroque iure nel 1623. In quell’anno era eletto pontefice il cardinale Maffeo Barberini, Urbano VIII, zio del B., che lo chiamò subito, nel mese di agosto, presso di lui, lo fece alloggiare nel palazzo apostolico, lo nominò arciprete di S. Giovanni in Laterano, lo chiamò a partecipare alla Consulta e infine, il 2 ottobre, lo elesse (era la prima nomina cardinalizia del pontificato) cardinale diacono col titolo di S . Onofrio . A questo titolo, cambiato nel 1624 con quello di S. Agata alla Suburra, nel 1645 con quello di S. Sabina, nel 1652 con quello di Porto e infine nel 1666, quando il B. divenne decano del sacro collegio, con quello di Ostia, Urbano avrebbe aggiunto altri importanti benefici: subito il governatorato di Tivoli e di Fermo, nel 1627 le abbazie di Grottaferrata e di Farfa (dove il B. tenne un sinodo nel 1628), nel 1629 il titolo di arciprete di S. Maria Maggiore e nel 1633 quello di arciprete in S. Pietro in Vaticano. Sempre nel 1627 fu nominato bibliotecario della Vaticana, alla quale veniva annesso l’Archivio segreto pontificio. In tale incarico il B. restò fino al 1636 quando lo cedette allo zio, il cardinale Antonio. Altra onorificenza fu dal 1632, quella di vicecancelliere, la più lucrativa a quel tempo delle cariche di curia, a cui si aggiungevano ancora le abbazie di Pomposa e di Bodeno, note per le pingui rendite. A queste sono ancora da aggiungere le pensioni che il B. ricavò dalle cariche di cardinale protettore d’Aragona e di Portogallo e dei cattolici di Inghilterra, di Scozia e di Svizzera. Già nel 1630 i suoi introiti erano calcolati a 100 mila scudi (la cifra, data come probabile dal Ranke, è ridotta a circa 80 mila scudi dal Pastor). Una tale messe di cariche, in gran parte soltanto onorifiche e puramente redditizie, salvo quella di vicecancelliere e di cardinale bibliotecario (in tale incarico egli si impegnò con molta capacità, riformando tra l’altro il regolamento della biblioteca), servivano a rafforzare, nell’opinione del pontefice, la funzione affidata al B. di cardinal nepote, cioè di segretario di Stato. E della eccezionale ricchezza e potenza di cui fu investito il B. ci si rese, infatti, subito conto, come dimostrano unanimemente le relazioni degli ambasciatori a Roma. Del resto egli stesso ebbe cura di sottolinearle con lo sfarzo ostentato nella visita alle basiliche romane durante i festeggiamenti per il giubileo del 1625. In realtà, anche se gli altri parenti del papa furono largamente beneficiati, fu in lui che si incentrò soprattutto il rafforzamento politico e patrimoniale della famiglia Barberini voluto da Urbano VIII.

Nei primi tempi della sua attività di cardinal nepote l’azione del B. fu largamente condizionata da quella del più anziano e esperto segretario dei Brevi ai principi, Lorenzo Magalotti, suo parente per via materna e molto stimato da Urbano VIII. Quando nel 1628 quest’ultimo elesse al cardinalato Antonio, fratello minore del B., questi, dopo essersi a lungo opposto a tale nomina che gli lasciava temere un concorrente, fu rassicurato dal pontefice con l’esonero del Magalotti, mandato nel suo vescovato di Ferrara. Ma il provvedimento non servì a dare al B. la desiderata autonomia: egli in effetti fu sempre costretto, negli affari importanti come in quelli di minor momento, a rimettersi alla volontà del pontefice, al punto che gli ambasciatori a Roma assicuravano concordemente che in tutta la corrispondenza diplomatica del B. di suo non c’era che la firma. Del resto il Ranke riconosce che, tenuto presente il carattere del pontefice, egli «ha avuto tutte le ragioni di non volersi assumere nei primi dieci anni di pontificato dello zio la responsabilità di nessuna decisione quale essa fosse» (Storia dei papi, p. 77).

La prima azione nella quale il B. fu impegnato in prima persona fu la legazione del 1625 in Francia, dove fu inviato a trattare con il Richelieu per definire la questione della Valtellina secondo i desideri del pontefice: vale a dire si addivenisse alla pace tra Francia e Spagna, non si facessero da parte francese concessioni ai Grigioni e il controllo della situazione valtellinese venisse affidato direttamente alla Chiesa cattolica.

Il B., nominato legato a latere il 17 marzo 1625, partì il giorno successivo e giunse a Parigi il 21 maggio. Facevano parte del suo seguito, oltre ai prelati G. B. Panzini e L. Azzolini, anche Carlo e Cesare Magalotti in funzione di segretari. Le trattative, che misero di fronte l’inesperto B. e il cardinale Richelieu (e che a giudizio unanime dimostrarono la notevole goffaggine del primo nelle discussioni politiche), toccarono non soltanto la questione valtellinese, ma anche vari problemi della politica europea. Sull’oggetto principale dei negoziati il B. non ottenne alcun risultato, poiché il Richelieu giudicò che il distacco della Valtellina dai Grigioni sarebbe stato tutto nell’interesse spagnolo. Un ulteriore motivo di contrasto furono le trattative iniziate dalla corte francese con gli ugonotti, contro le quali il B. protestò invano. In definitiva le discussioni, protrattesi sino alla fine d’agosto, risultarono del tutto infruttuose e il cardinale decise di tornare in Italia, anche per non dover essere costretto ad assistere alla ventilata pacificazione con gli ugonotti. Perciò, lasciate istruzioni al nunzio a Parigi, lo Spada, perché proseguisse i colloqui con il Richelieu, partì per Roma, ove giunse il 17 dicembre.

Già nel corso del soggiorno del B. in Francia, nel suo carteggio con il cardinale Magalotti che gli comunicava con continuità l’opinione e la volontà del pontefice, si era parlato della necessità di estendere i contatti diplomatici anche alla Spagna e all’Olivares. E infatti, poco dopo il suo ritorno a Roma, nel febbraio del 1626 il B. fu inviato a Madrid, col pretesto di presenziare al battesimo di una infanta del re di Spagna. Erano nel frattempo in corso le trattative segrete tra l’Olivares e l’ambasciatore francese du Fargis che avrebbero portato alla pace di Monzon: l’arrivo del B., latore della opinione pontificia, immutata rispetto all’anno precedente, contribuì ad accelerarle, tanto che, per evitare le proteste di Urbano VIII sul fatto che non si era tenuto presente nel trattato di pace il suo punto di vista contrario alla restituzione della Valtellina ai Grigioni, il documento, firmato nell’aprile, fu retrodatato al 5 marzo 1626, quando il B. non era ancora giunto a Madrid. Egli dovette così limitarsi a richiedere lo smantellamento delle fortezze della Valtellina, ottenendo che tale compito fosse affidato a Roma. Dopo un lungo soggiorno, nel corso del quale la corte madrilena lo aveva coperto di onori, offrendogli il titolo di protettore d’Aragona e Portogallo ‑ oltre a una pensione annua di 15 mila scudi che fu però rifiutata ‑, il B. tornò a Roma nell’ottobre del 1626.

Assunta nel 1628 la responsabilità, formalmente incontrastata, della politica estera pontificia, egli improntò tutta la propria azione all’ambiguo neutralismo voluto dal pontefice. In realtà, salvo in alcuni momenti di crisi, fu una politica di effettivo appoggio alla Francia contro l’alleanza ispano‑imperiale: tale atteggiamento caratterizzò la posizione di Roma in occasione della seconda guerra per la successione del Monferrato, nel cauto favore mostrato verso il Nevers, pretendente alla successione di Mantova, e, ancora più marcatamente, nella legazione di pace affidata ad Antonio Barberini nel dicembre del 1629. Ancora negli anni successivi, fino alla crisi provocata dalla guerra di Castro, il B. continuò a riflettere questo atteggiamento del pontefice in tutte le sue iniziative, sia quelle relative ai problemi della guerra dei Trent’anni, opponendosi per quanto poté all’azione dell’Impero verso i protestanti, sia nelle questioni italiane. E se il cardinale, sensibile agli affari francesi, specie a quelli concernenti l’appoggio del Richelieu alle tendenze gallicane della Chiesa di Francia, agì in proposito sempre con molta cautela e con duttilità, mediando in parte la rigidità di Urbano VIII verso la Spagna e soprattutto verso l’Impero egli non si mostrò altrettanto comprensivo.

Dal 1633 il B., insieme con l’ambasciatore toscano F. Nicolini, fu promotore di un importante progetto di lega difensiva tra gli Stati italiani, in specie tra Roma, Toscana, Savoia, Parma e Modena, lega da estendere poi anche a Genova e Venezia. Anche questa volta però la sua iniziativa politica fu condizionata dall’intervento di Urbano VIII ostilissimo alla Repubblica veneta; il pontefice indusse il nipote a proporre il 5 giugno del 1634 che a Venezia si concedesse la possibilità di aderire soltanto in un secondo momento. Invano il Mazzarino interveniva presso il B., il 2 ott. 1634, scrivendogli: «… replico a V. E. che la Lega s’avrebbe a intraprendere vivamente e presto, poiché con essa non solamente si assicurerà l’Italia dalle guerre che li soprastanno, ma si renderà molto più agevole la negotiatione d’una pace generale» (cfr. A. Panella, XCV, p. 29): i limiti posti dal papa, il tentativo sia francese sia spagnolo di controllare la lega e finalmente la rottura della concordia diplomatica tra le parti in causa (la Savoia legata alla Francia con il trattato di Rivoli del 1635, la Toscana passata nel 1637 all’alleanza con la Spagna) fecero cadere il negoziato nel nulla.

L’ultima occasione in cui il B. parve influenzare in qualche modo la politica pontificia fu nell’appoggio che egli dette alla prospettiva di una guerra contro Odoardo Farnese, così come presso il papa sollecitavano i suoi fratelli Taddeo e Antonio, guerra che anch’egli considerò un fatto totalmente privato e familiare. La sconfitta nella guerra di Castro e poi la morte di Urbano VIII ebbero come conseguenza la perdita dell’influenza politica dei nipoti del pontefice, come apparve chiaro nel conclave per l’elezione del nuovo papa. Innocenzo X infatti, seppure eletto con il finale appoggio del B., che riuscì a spostare sulla sua posizione di compromesso anche il fratello Antonio, iniziò quasi immediatamente una serie di inchieste sull’operato dei Barberini durante il pontificato di Urbano VIII, specie allo scopo di chiarire in quale modo si fosse enormemente ingrandito il patrimonio della loro famiglia. Queste inchieste provocarono dapprima la fuga da Roma di Antonio e quindi, la notte del 16‑17 genn. 1646, del B. e del fratello Taddeo, con i figli: tutti trovarono rifugio in Francia sotto la protezione del Mazzarino.

Il Mazzarino utilizzò il contrasto del pontefice coi Barberini per ottenere che il papa, il quale si mostrava incline al partito spagnolo, modificasse il suo atteggiamento verso la Francia: a questo fine ordinò una serie di attacchi navali lungo la costa toscana, contro i Presidi spagnoli, che dovevano soprattutto servire a minacciare e a intimorire il pontefice. Ed infatti questi, reagendo secondo le previsioni del Mazzarino, dopo gli attacchi a Talamone e a Porto Santo Stefano del 15 maggio 1646 e dopo la pausa estiva cui la flotta francese fu costretta dalla morte dell’ammiraglio Bréard, convocò il 17 sett. 1646 il cardinale protettore di Francia, Rinaldo d’Este, e il cardinal Grimaldi, fautore dei Barberini, comunicando loro di aver deciso di graziare questi ultimi e d’essere intenzionato a restituire loro i beni confiscati. In conseguenza di questo atteggiamento del pontefice, quando il 16 ottobre i Francesi occuparono Piombino, lasciarono al potere la signoria locale dei Ludovisi, proprio per dimostrare al pontefice, che di tale famiglia era protettore, le intenzioni concilianti del Mazzarino. Così il B. il 24 febbr. 1648 fece ritorno a Roma, dove ottenne senza difficoltà di essere reintegrato nei propri beni. Rimasero tuttavia ancora a lungo alcuni strascichi della rottura tra il papa e i Barberini: essa aveva infatti provocato il sequestro delle rendite barberiniane anche in Spagna e nei domini spagnoli, e negli anni successivi il B. dovette prodigarsi per ottenere la revoca del provvedimento: ancora nel 1654 inviava a Madrid un suo rappresentante, monsignor F. Mancini, perché perorasse, con l’aiuto del nunzio, la causa della restituzione dei beni e solo dopo parecchi anni poté recuperarli interamente.

Il B . tornò ad abitare a Roma nel palazzo alle Quattro Fontane, che si era fatto costruire e che abitava dal 1633; limitò la sua attività pubblica soltanto alle cariche legate al titolo cardinalizio, come quella di membro del S. Uffizio, alle funzioni di vicecancelliere alle quali era stato restituito e alla partecipazione ai conclavi per l’elezione di Alessandro VII, Clemente IX, Clemente X e Innocenzo XI, nonché alla direzione della sua diocesi di Velletri (nel 1673 vi tenne un sinodo di cui si conservano le Constitutiones synodales, editae et promulgatae ab eminentissimo D. F. cardinali B…, Romae 1673): divennero ormai prevalenti gli aspetti privati della sua attività, i suoi interessi di protettore delle arti e delle scienze e di cultore egli stesso degli studi letterari.

La sua vita non fu tutta occupata dalla politica: spentosi lo zio e venuta quindi meno la sua funzione di cardinal nepote, egli andò sempre più sviluppando quegli interessi di cultura caratteristici della sua famiglia (oltre che di Urbano VIII, anche di Antonio junior), da lui coltivati, in ogni modo, in maniera coerente e fruttuosa. Tali interessi, che dopo il 1646 ebbero modo di manifestarsi in un ambito prevalentemente privato o al più limitato alla sua corte principesca e alle accademie di cui si faceva protettore, non gli erano certamente mancati negli anni precedenti, essendo anzi egli riuscito largamente a connetterli con le sue funzioni pubbliche. Ne è prova la maggiore testimonianza che il B. abbia lasciato di sé, la biblioteca Barberini, della quale egli si fece promotore, arricchendo munificamente gli originari fondi della biblioteca privata di Maffeo Barberini: di essa, dopo la morte del B., venne pubblicato sulla base di un inventario preparato in gran parte dallo Holstein, che era stato suo bibliotecario, l’Index bibliothecae quam F. B…. magnificentissimas suae familiae ad Quirinalem aedes magnificentiores reddidit…, Romae 1681. Su incarico avuto dal B., lo Holstein aveva compiuto viaggi in tutta Europa, sia per acquistare direttamente stampati e manoscritti rari, sia per darne incarico a letterati di ogni paese, con i quali poi lo stesso B. ebbe assidue relazioni, facendosene protettore e ospite generoso durante i loro viaggi a Roma. Tale è il caso, tra gli altri del Naudé, del Vossius, di Jean Morin, dello Heinsius, del Milton, dell’Ughelli. Insieme allo Holstein furono da lui impiegati numerosi altri eruditi, come il Bouchard, che fu suo segretario per le lettere latine, o l’Allacci, che sostituì lo Holstein nella funzione di bibliotecario e che, nel 1633, con con il libro Apes Urbanae, aveva tracciato il miglior quadro della cultura mecenatizia della Roma barberiniana. Il B. fu anche cultore delle arti figurative: oltre che della costruzione del suo palazzo, si incaricò del restauro di numerose chiese (dalla basilica di S. Giovanni in Laterano alla chiesa dei SS. Giovanni e Paolo a quella di S. Lorenzo in Damaso) e della protezione di artisti, tra i quali soprattutto il Bernini, protezione che gli permise di formare la sua pinacoteca. Né minore interesse egli dimostrò per il melodramma e per gli spettacoli in genere, tra i quali ebbero larga risonanza le rappresentazioni da lui fatte allestire in piazza Navona il 25 febbr. 1634, in onore del principe Alessandro Carlo Vasa, e la favola musicale Il Falcone, recitata nel 1637 nel teatro del suo palazzo. Della sua munificenza, ma non priva di qualche intenzione di avvicinamento politico, diede un risonante saggio nel 1635, allorché fece pervenire alla regina Enrichetta Maria, moglie di Carlo I d’Inghilterra, un cospicuo dono di dipinti italiani del Rinascimento. Non mancarono in lui anche interessi per le scienze, dimostrati con la ricca raccolta di piante rare del suo giardino, una specie di orto botanico e un museo di scienze naturali (ne rimane una descrizione manoscritta nella biblioteca di Montpellier, Ec. de méd., n. 170), con l’onorevole accoglienza riservata nel 1624 al Galilei (anche se nel 1632 fu uno dei suoi più decisi accusatori), con l’ospitalità alla propria corte di B. Castelli e di G. B. Doni; al B. il vescovo di Spalato Marc’Antonio De Dominis nel 1624 dedicò il suo scritto sulle maree Euripus seu de flucsu et reflucsu maris (v. in Pastor, XIII, pp. 1039 s., una lunga lista, tuttavia non completa, degli scritti dedicati al Barberini).

Ma furono soprattutto eminenti nel B. gli interessi letterari e quelli di storia religiosa. Riguardo ai primi va ricordato, oltre ai numerosi scritti e alle composizioni poetiche in latino, restati numerosi tra le sue carte, la sua traduzione de I dodici libri di Marco Aurelio Antonino imperatore di se stessi, ed a se stesso, comunemente intitolato Della sua vita, pubblicata anonima a Roma nel 1675. Dai secondi derivò forse la prudenza del suo atteggiamento a proposito delle controversie dottrinali che agitavano il cattolicesimo francese: nei riguardi sia delle tendenze gallicane sia di quelle gianseniste. Particolarmente interessanti in questo senso furono i suoi amichevoli rapporti con il noto studioso di testi biblici e storico della Chiesa J. Morin, che fece venire a Roma dal 1638 al 1640, chiamandolo a far parte della commissione voluta da Urbano VIII per lo studio delle questioni relative ai riti della Chiesa orientale; con lui mantenne un nutrito carteggio (che venne pubblicato in Antiquitates Ecclesiae Orientalis…, Londini 1682), cercando di temperarne gli atteggiamenti gallicani, nello stesso tempo in cui ne difendeva a Roma alcune ardite tesi di critica dei testi biblici.

Il B. morì a Roma il 10 dic. 1679.

FONTI E BIBL.: La document. archivistica sul B., specie sulla sua azione di cardinale nipote, è smisurata e sparsa nei vari archivi d’Europa, nei quali è stata in vario modo esplorata dagli storici della guerra dei Trent’anni e in particolare dagli studiosi di Urbano VIII. Una parte notevole del carteggio è conservata nell’Arch. Segreto Vaticano, soprattutto nella serie di carte riferentesi al B. della Biblioteca Apostolica Vaticana e dell’Archivio Barberini, custodito nell’Archivio Vaticano, nei codici segnati Barb. Lat. nn. 10.042 ss. Il nucleo più consistente è quello dei codici conservati dal 1902 ‑ cioè da quando la biblioteca Barberini fu acquistata da Leone XIII ‑ nella Biblioteca Vaticana, dei quali si sono consultati soprattutto i seguenti: ms. Barb. Lat. 9811, ff. 83‑197 (carteggio del B. col vescovo di Sarzana Prospero Spinola, dal 22 febbraio al 18 luglio 1643, su questioni riferentesi alla guerra di Castro); ms. Vat. Lat. 8475, ff. 1‑153 (carteggio dal 1623 al 1633 con il Filonardi, vicelegato di Avignone e con il fratello Antonio su problemi politici e privati e su questioni della politica francese); ms. Barb. Lat. 9845, ff. 2‑22b.; mss. Barb. Lat. 9848‑9849 (carteggio del B., del 1654‑1655, con il suo inviato in Spagna F. Mancini, sul recupero dei beni sequestrati dalla Spagna).

Facultates D. F. card. B. ad Ludovicum XIII a latere legato concessae, Parisiis 1625; Magnifica entrata della nobile città di Lione…, Roma 1625; Juan de la Rea, Canciones, gracias que la insigna villa de Madrid da a su Santitad pot la honra que ha recebido con la venida della ill. y rev. S. cardenal D. F. B. su sobrino y légato a latere, s.l. né d. [ma Madrid 1626] Henri van Kieffelt, Panegiricus eminentissimo et reverendissimo D. F. card. B., Romae 1635; James Alban Gibbes, Iter Barberinum…, Romae 1656; Apes Peregrinae seu F. card. B. sexagies pro iubilaeo ecclesias visitantis, s.l. né d.; G. Campiano, Illustriss. Principi F. B. card…, s.l. né d.; G. De Rossi, Eminentissimo F. B. S. R. E. card. amplissimo…, s.l. né d.; M. Corsetti, Il calice d’oro ingemmato, oratio funebre recitata nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso…, Roma 1680; L’Ercole trionfante nella caduta. Epicedio in morte dell’eminentissimo… card. F. B…, Pesaro 1680; Relatione dell’apparato et funtioni fatte nella cattedrale di Pesaro in occasione dei funerali… del sig. card. F. B., Pesaro 1680; L. E. Orsolini, Inclytae nationis florentinae suprema romani Pontificatus ac sacra Cardinalatus dignitate illustratae opus, Romae 1706, pp. 407‑424 e passim; L. O. Tassi, La partenza de’ Barberini da Roma dopo la morte d’Urbano ottavo, Villafranca 1714; L. Cardella, Memorie stor. de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, VI, Roma 1793, pp. 238‑243.

Per la biografia del B., soprattutto per le linee della sua azione come segretario di Stato di Urbano VIII, oltre a L. von Ranke, Storia dei papi, Firenze 1959, pp. 763, 822 s., 825, 826, 833, 842, e L. von Pastor, Storia dei papi, XIII-XIV, I, Roma 1931‑32, passim; A. Pazzoni, Il card. F. B. legato in Francia ed in Ispagna nel 1625‑1626, in Arch. stor. ital., s. 5, XII (1893), pp. 335‑360; H. Coville, Etude sur Mazarin et ses démêlés avec le pape Innocent X (1644‑1648), Paris 1914, passim; R. Quazza, La guerra per la success. di Mantova e del Monferrato, Mantova 1926, I, passim; II, pp. 11, 30, 148, 321, 327, 344; A. Panella, Una lega ital. durante la guerra dei trent’anni, in Arch. stor. ital., XCIV, 2 (1936), pp. 1‑36; XCV, I (1937), pp. 21‑50; R. Quazza Preponderanze straniere, Milano 1938, pp. 154-157, 200‑202, 206, 207, 319, 475; R. Pintard, Le libertinage érudit dans la première moitié du XVIIe siècle, Paris 1943, passim; L. Thorndike, A History of magic and experimental Science, New York 1958, VII, pp. 107, 109, 308; VIII, p. 270; P. Pecchiai, I Barberini, in Archivi, Roma 1959, quad. 5, pp. 154‑159.

A. MEROLA


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