Lorenzo Brancati (1681-1693)

Tratto dal Dizionario Biografico degli Italiani, 13, pp. 827-831 edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.

Nato a Lauria (Potenza) il 10 apr. 1612 da Marcello e Dorotea Serubbi, in una famiglia nobile ma non molto agiata, fu avviato agli studi nel luogo natale da un avvocato che aveva abbandonato il foro, Aquilante Vitale: questi, oltre a insegnare la grammatica, impartiva ai suoi allievi lezioni di dottrina cristiana, li abituava a compiere le pratiche di pietà e li iniziava all’orazione mentale, riservando una cura particolare alla devozione mariana.

A quindici anni il B., impossibilitato per ragioni economiche a continuare gli studi (infatti sarebbe dovuto andare a Napoli o a Salerno), benché primogenito, chiese di abbracciare lo stato clericale: così nel 1628 ricevette la tonsura dal vescovo di Policastro e fu addetto alla chiesa di S. Giacomo in Lauria. Quindi, sollecitato da un cugino della madre, il minore conventuale Giovanni F. Serubbi, nonostante lo scarso favore dei genitori, entrò nel convento francescano di Nola ove vestì l’abito dei conventuali, senza però poter entrare nel noviziato per un divieto governativo che impediva a tutti gli Ordini regolari di accogliere nuovi probandi. Ritornato temporaneamente nella casa paterna, passò un periodo di crisi spirituale, deponendo l’abito francescano anche per suggestione dei parenti; nell’aprile del 1630 fuggì però da Lauria per ritornare definitivamente in convento. Ammesso nel maggio nel noviziato di Lecce, vi seguì gli studi di logica sotto la guida di Antonio da Lecce e il 7 luglio 1631 pronunciò i voti solenni. Fu inviato quindi a Rutigliano, ove studiò fisica (1632), e a Bari ove studiò filosofia (1633‑1634) sotto la guida del gesuita Vincenzo Colella. Destinato a Lecce per i corsi di teologia, per interessamento del padre Serubbi fu invece chiamato a Roma dal vicario generale. Giuntovi nell’ottobre 1634, dopo aver ricevuto il suddiaconato a Bitetto, fu ben presto apprezzato per le sue non comuni doti e proposto dal teologo Stefano De Luca per il concorso d’ammissione al collegio di S. Bonaventura che superò nel maggio 1635. Qui, sotto la guida del padre maestro F. A. Biondi da San Severino, dotto cultore di studi scotistici, progredì rapidamente segnalandosi con la difesa di alcune tesi teologiche nel capitolo generale di Roma del 1635, nel capitolo provinciale di Sutri nel 1636 e nella congregazione provinciale di Sezze nel 1637. Frattanto, il 17 maggio 1636, era stato ordinato prete in S. Giovanni in Laterano da mons. Scannarola.

Conseguita la laurea nel 1637, il B. era destinato a insegnare belle arti nel collegio S. Lorenzo a Napoli, ma per l’opposizione del padre A. Volpe fu inviato come reggente ad Aversa, ove insegnò logica e filosofia approfondendo lo studio della teologia scotistica. Trasferito nel 1639 a Napoli, fu scelto come vicesegretario dal padre generale G. B. Berardicelli da Larino, che accompagnò in una visita pastorale dei conventi del Regno di Napoli. Dopo alcuni mesi fu nominato reggente di studio a Firenze; resse successivamente dal 1641 lo Studio di Ferrara e dal 1644 quello di Bologna, insegnandovi anche teologia. Nel giugno 1647 fu eletto segretario dell’Ordine col titolo di provinciale d’Irlanda e fu incaricato di una missione a Venezia per comporre alcune divergenze sorte con il governo della Serenissima: continuava, frattanto, ad accrescere la sua conoscenza della dommatica e della storia ecclesiastica. Creato nel 1650 guardiano dei SS. Apostoli a Roma, l’anno dopo, quando si prevedeva una sua nomina a procuratore o vicario generale, fu relegato, invece, per meschine gelosie, nel convento di Albano. Qui si dedicò completamente agli studi, con l’intenzione di compiere l’opera di commento alla teologia scotistica, iniziata e condotta dal Volpe fino al terzo libro delle sentenze di Scoto. Soggiornando frequentemente a Roma nel 1652, come ospite dei SS. Apostoli, il B. poté completare i primi due volumi dei Commentaria.. . in quartum librum sentent. Mag. Ioannis Duns Scoti…, il primo dei quali (De Sacramentis in genere, de Baptismo et de eucharestia, Romae 1653) fu subito pubblicato per ottenere, grazie all’appoggio del card. Fabio Chigi, la cattedra di Sacra Scrittura alla Sapienza (1654).

In questo, come nel secondo (De poenitentiae virtute et poenitentiae sacramento, Romae 1656, dedicato ad Alessandro VII), è evidente una certa frettolosità, ma il B. già dimostra una profonda e sicura conoscenza della dottrina di Scoto, di cui è tutt’altro che un pedissequo ripetitore. Notevole rilievo nella trattazione dei sacramenti ha la questione della transustanziazione («An destructio paths in Eucharistica consecratione colligatur ex verbis Christi», I, pp. 556‑561): il B. giustifica la risposta negativa di Duns Scoto, ricordando che solo i concili lateranense e tridentino avevano definito dogmaticamente tale dottrina. Interessante, anche per la posizione polemica che assumeva nei confronti delle correnti gianseniste, è, nella disputa sul battesimo, l’affermazione, nell’ordine della possibilità, che il peccato originale possa essere cancellato senza l’infusione della grazia; in quanto il peccato è privatio rectitudinis e non privazione della grazia ‑ che è effetto e non causa di esso ‑, e questa non si oppone physice al peccato, ma solo demeritorie. Nei due volumi successivi (Tomustertius.. . de sacramentis confirmationis, ordinis, extremae unctionis, matrimonii, Romae 1662; e Tomus quartus… de omnibus novissimis necnon de medio statu animarum, et parvulorum, Romae 1665) il B., seguendo il nuovo metodo della cosiddetta teologia positiva fondamentale in uso a Lovanio e Parigi, si servì maggiormente della Sacra Scrittura, dei Padri, dei concili per polemizzare con gli avversari. Bersaglio di questa polemica furono soprattutto i gesuiti (G. Vásquez) e di riflesso s. Tommaso; ma a differenza del Volpe il B. usa un tono più pacato e, quando è possibile, cerca di dimostrare l’armonia fra Scoto e san Tommaso.

Durante il pontificato di Alessandro VII il B. fu tenuto in grande considerazione e nominato prima consultore e qualificatore del S. Offizio (1658), poi consultore dei Riti, esaminatore sinodale e dei vescovi. Dedicatosi allo studio del diritto canonico, pubblicava frattanto una Epitome canonum, omnium qui in conciliis generalibus ac provincialibus… continentur…, Romae 1659; infine dal 1665 fu prefetto degli studi del Collegio urbano di Propaganda Fide. Nominato da Clemente IX consultore delle Indulgenze e Sacre reliquie, il B. continuava la pubblicazione dei suoi studi scotistici con i Commentaria… in tertium librum sententiarum… : di questi uscì per primo il Tomus secundus… de virtutibus in genere, de quatuor cardinalibus, eorurnque speciebus et de virtute heroica, Romae 1668, in cui è notevole la definizione della virtù eroica (parte II, pp. 709‑826) accettata poi da Benedetto XIV e divenuta classica nei processi di beatificazione e di canonizzazione; mentre nelle virtù morali, il B., definendole come abiti elettivi e non infuse con la grazia, dà grande importanza al momento volontaristico. Divenuto, con Clemente X, custode della Vaticana (1670) con una sostanziosa rendita annua, il B. pubblicò altri due torni dei Commentaria(…Tomus tertius…de virtutibus theologicis in genere, de fide propagata et propaganda, de missionariis martyrio, haeresi et poenis haereticorum, Romae 1673; …Tomus quartus… de spe, de charitate, donis Spiritus Sancti, beatitudinibus, gratia habituali, de gratiis gratis datis, specialiter de miraculis, Romae 1676).

Il primo di questi rappresenta un vero e proprio trattato missionologico, rivalutato di recente dall’Hoffmann, che ne ha messo in evidenza la superiorità nei confronti delle opere di José de Acosta (De procuranda Indorum salute, Coloniae 1588), che si limita a chiarire le sue esperienze fra gli Indi; di Thomas a Jesu (De procuranda salute omnium gentium, Antverpiae 1613), che non ha la rigorosa visione unitaria del B., pur dimostrando un’informazione enciclopedica; di D. de Gubernatis (De missionibus apostolicis in communi, in Orbis seraphicus, V, Lugduni 1689), che dipende quasi letteralmente dal Brancati.

Interessante la XIII disputatio (De fidei propagatione et dilatione) divisa in una parte storica ‑ per la quale sono usati come fonti il Nuovo Testamento, i Padri, il martirologio di Beda, Usnardo, il Theatrum conversionis di Arnaldo Mermannio, Baronio, Oderico Rinaldi, Henry de Spondé ‑ ed una parte dottrinale, in cui è sostenuto il diritto e dovere esclusivo del papa, che solo tra i successori degli apostoli possiede la giurisdizione universale, di propagare la fede organizzando le missioni; sono aggiunti alcuni cenni storici sull’Istituto di Propaganda Fide e, utilizzando gli atti d’archivio, uno sguardo d’insieme alle missioni da questo organizzate. Più importante da un punto di vista missionologico è, però, la XVIII disputatio (De fide propaganda per missionarios) che tratta degli obblighi e delle qualità del missionario; termine che è preso dal B. in senso stretto, nell’accezione di chi predica la fede e somministra i sacramenti (sono esclusi perciò i laici e le donne). Il missionario deve avere l’età virile (trent’anni), la conoscenza della lingua, della religione, letteratura e storia missionaria del paese in cui esercita la sua missione, oltre alla padronanza della Sacra Scrittura, dell’apologetica e dei canoni. Fornito delle virtù morali e soprannaturali, egli deve compiere la sua opera nel territorio assegnatogli dal papa; e poiché porta un messaggio di pace, non deve propagare il Vangelo con la forza o con la guerra, né assistere col suo consiglio le imprese guerresche dei principi cristiani o pagani; deve inoltre astenersi da ogni genere di commercio (il B. si richiama alle costituzioni Ex debito di Urbano VIII e Sollicitudo di Clemente IX) ed evitare di vantarsi dei propri successi (il B. prende una netta posizione contro la letteratura missionaria delle Lettres édifiantes che descrivevano a tinte cariche conversioni e miracoli). E’ presente nel B. anche la preoccupazione di evitare le cause dei dissensi fra i missionari circa la dottrina, i riti, la disciplina (ferveva già allora la polemica sui riti cinesi): lamentata l’eccessiva libertà concessa ai singoli missionari e alle corporazioni, che portava a una diversità nella prassi missionaria, egli suggerisce di affidare ogni territorio ad un solo istituto religioso.

Concluse i Commentaria di Scoto il Tomus primus… de Sacrosancto incarnationis divini Verbi mysterio, Romae 1682, in cui per primo il B. sostenne esplicitamente il pensiero del maestro distinguendo il fine primario dell’incarnazione (glorificazione di Dio nella manifestazione dei suoi attributi) dal fine secondario (redenzione del genere umano dal peccato di Adamo).

La vasta dottrina teologica, manifestata dal B., oltre che negli scritti, nell’insegnamento dalla cattedra della Sapienza, mantenuta fino al 1681, indusse anche Innocenzo XI, come già i suoi predecessori, a servirsi di lui come membro delle principali congregazioni incaricate di esaminare le più spinose controversie teologiche. Allo stato attuale delle ricerche è possibile valutare questa attività soltanto parzialmente. Netta fu la sua avversione per il giansenismo, per l’inconciliabilità della posizione da questo assunta in materia teologica con il volontarismo scotistico, tanto che il B. non esitò nel 1678, come consultore del S. Offizio, ad accusare di baianismo l’Historiapelagiana dell’agostiniano E. Noris (cfr. Roma, Bibl. Angelica, ms. 899, f. 129, in cui il B. aggiunse alle proposizioni già presentate come meritevoli di condanna dal minore osservante F. Macedo altre undici, riservandosi nuove denunce). Queste convinzioni, ribadite poi negli Opuscola tria de Deo quoad opera praedestinationis, reprobationis, et gratiae actualis.., Romae 1687, sono unite però in campo morale a un severo atteggiamento contro il lassismo dei gesuiti, dimostrato dalla benevolenza con cui esaminò nel 1680 gli Specimina theologiae moralis christianae et moralis diabolicae del rigorista Gilles Gabrielis, suggerendo le correzioni per una nuova edizione dell’opera che era stata condannata dal S. Offizio il 27 Sett. 1679. La stessa propensione per il rigorismo aveva dimostrato nella congregazione che, con il decreto Cum aures del 1679, condannò alcune pratiche quietiste circa la comunione quotidiana; durante le discussioni, durate dal 1677 al 1679, il B. si mostrò in effetti preoccupato, più che della frequenza della comunione, delle disposizioni necessarie per accostarsi al sacramento, esigendo la condanna della teoria che presentava come sufficiente l’esenzione dal peccato mortale, senza altra preparazione.

Creato cardinale con il titolo dei SS. Apostoli da Innocenzo XI il 10 sen. 1681, il B. fu chiamato con R. Capizucchi e M. Ricci a giudicare le accuse mosse al quietista M. Molinos.

Essendo già nota la difesa che il B. aveva fatto della Guia espiritual del Molinos dinanzi alla Congregazione del S. Offizio, la sua scelta a giudice venne ritenuta un chiaro indizio della volontà del Papato di assolvere la dottrina del quietista spagnolo. Avvalorò tale supposizione la condanna, emessa per precipua opera del B. e del Capizucchi, degli scritti antiquietistici di P. Segneri (Concordia tra la fatica e la quiete nell’oratione, Firenze 1680) e di G. Belluomo (Il pregio e l’ordine dell’orationi ordinarie e mistiche, Modena 1678). Effettivamente anche gli Opuscola octo de oratione christiana eiusque speciebus, in tyronum orantium gratiam edita..., Romae 1685, scritti dal B. su commissione di Innocenzo XI, dimostrano una certa simpatia per le dottrine mistiche, circondate allora da notevole sospetto. Se è vero che nel secondo opuscolo (De oratione mentali, pp. 65‑70) mette in guardia contro alcune proposizioni circa l’orazione mentale, tipiche di alcuni ambienti quietistici (Begardi ed Illuminati), tuttavia nel quarto opuscolo (De vita activa et contemplativa, in cui alle pp. 226‑275, tratta dell’orazione di quiete) sulle tracce dei grandi autori mistici (B. Alvárez, Thoma a Jesu, S . Teresa di Gesù) ripete che esiste una contemplazione acquisita e che alle persone «spirituali» che riescono a conseguirla «ex speciali Dei favore datur aliquando quidam gradus contemplationis dictus Quietis, in suavi animae pace et tranquillitate consistens» (una ristampa dell’opera fu fatta nel 1896 a Montreuil‑sur‑Mer: cfr. la recensione di A. Poulain, in Etudes, LXXIX [1899], pp. 267‑273). Certamente più che alla difesa delle dottrine del Molinos o del Petrucci, ai quali scrupolosamente non veniva fatto alcun esplicito accenno, il libro del B. rivendicava l’importanza nella società cristiana della funzione di quegli istituti che, come i conventuali, dedicavano gran parte del loro tempo alla contemplazione (un capitolo del sesto opuscolo, pp. 395‑402, ha il significativo titolo ProDei servis contemplativis, caeterisque spiritualibus qui a mundanis irridentur, consolatio); tuttavia la sua moderazione era apprezzata dal quietista Malaval e lo stesso Petrucci si difese affermando che la propria dottrina era la stessa esposta dal Brancati.

Dopo la condanna del Molinos, il B. non fece parte della congregazione che nel 1687 giudicò il Petrucci, ma vi collaborò collazionando con i testi originali le proposizioni estratte per la condanna e redigendo le istruzioni per il guardiano dei francescani di Assisi, incaricato di svolgere a Iesi fra le penitenti del Petrucci un’inchiesta il cui esito gli fu nettamente sfavorevole.

Nei conclavi del 1689 e 1691 la candidatura del B. al pontificato, appoggiata senza grande impegno dalla Francia, non ebbe alcuna probabilità di successo, essendo egli giudicato inesperto degli affari politici e troppo arrendevole nei confronti di Luigi XIV.

Effettivamente il B. rappresentò dal 1678 nella congregazione che trattò la controversia sulla «regalia» un elemento moderatore delle tendenze zelanti, pur difendendo sul piano dottrinale le prerogative pontificie contro l’invadenza regia; nel 1692, in previsione di un accordo, indirizzò ad Innocenzo XII un Memoriale in cui, avversando i pareri del card. G. Casanate e di C. Sfondrati, consigliava un atteggiamento più duttile mediante la conferma dei vescovi eletti dal re, pur se avevano partecipato all’assemblea del clero del 1682, e la provvisione degli episcopati vacanti. Questi provvedimenti sembravano al B. indispensabili ‑ e ciò conferma ancora la sua incapacità di valutare la situazione politica che spingeva Luigi XIV a cercare un accordo con la S. Sede ‑ per evitare uno scisma e il primo passo per mitigare le velleità autonomistiche della Chiesa gallicana.

Il B. morì a Roma il 30 nov. 1693.

Postume uscirono le opere Index ad annales card. Baronii…, Romae 1694; e Vita Iesu Christi harmonice composita juxta quatuor Evangelia iussu Innocentii XII, Romae 1695.

FONTI E BIBL.: Per la ricostruzione delle vicende biografiche del B. oltre a L. Ceijssens, CardinalisL. B. de Laurea… autobiographia, testamentum et alia documenta, in Miscellanea francescana, XL (1940), pp. 73‑116, cfr. G. Franchini, Bibliosofia e mem. letterarie di scrittori francescani conv. ch’hanno scritto dopo l’anno 1585, Modena 1693, pp. 387‑398; B. Commando, Vita fr. L. B. de Laurea..., Romae 1698; G. Baba, Vita del card. L. B. di Lauria…, Roma 1699; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d’Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 1991‑1994; F. M. Renazzi, Storia dell’università degli studi di Roma…, III, Roma 1805, p. 177; D. M. Sparacio, Il card. L. B. minore conventuale (1612‑1693). Profilo biografico, Gubbio 1924; N. Spano, L’università di Roma, Roma 1935, pp. 42, 333, 344; E. Zocca, La basilica dei Santi Apostoli in Roma, in Misc.francescana, LIX (1959), pp. 386‑388; Dict. de théol. cath., IX, coll. 13‑15; Dict. d’Histoire et de Géogr. Ecclés., X, coll. 396‑398; Enc. cattolica, III, col. 23. Sul pensiero teologico del B.: U. d’Alencon, La spiritualité franciscaine, in Etudes franciscaines, XXXIX (1927), pp. 596 s.; D. Scaramuzzi, Il pensiero di Giovanni Duns Scoto nel Mezzogiorno d’Italia, Roma 1927, pp. 157‑185, I95 R. Hoffmann, Die heroische Tugend, München 1933, pp. 103‑112, 161 s., 171, 177; Dict. despiritualité ascétique et mystique, I, Paris 1937, coll. 1021-1923; N. Kowalski, Fra’ L. B. di Lauria missionologo quasi sconosciuto di Propaganda Fide, in Euntes docete, X (1957), pp. 383‑393; R. Hoffmann, Pioneer theories of missiology. A comparative study of card. B. deLaurea, O.F.M. Conv., with those of three of this contemporaires: José de Acosta S.J., Thomas a Jesu, O. Carm., and Dominicus de Gubernatis, O.F.M., Washington 1960 Per la partecipazione del B. alle controversie teologiche dell’epoca cfr.: De la fréquente communion, in Analecta juris pontificii, s. 7, IV (1864) I, coll. 791‑810, 814, 816, 823‑829; P. Dudon, Le quiétiste espagnol Michel Molinos (1628‑1696), Paris 1921, pp. 81, 89, 132, 135 s., 140, 155 s., 163, 179, 199, 210, 215, 221; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 2, Roma 1932, pp. 303, 387, 460, 505; L. Ceyssens, Diarium romanum van P. Bernardus Desiderant, O.E.S.A., antijansenistisch gedeputeerde van de Belgische bisschoppen in Rome (1692‑1696), in Bull. de l’Institut hist. beige de Rome, XX (1940), pp. 248 s.; Id., Van de veroordeling der 65 lakse proposities in 1679 naar de veroordeling van de 31 rigoristische proposities in 1690, in Misc. moralia in honorem… Arthur Janssen, Gembloux 1948, I, pp. 97, 105; Id., P. Patrice Duffy et sa mission antijanséniste, in Catholic Survey, I (1951‑52), p. 87; Id., Correspondance de Pierre Cant sur les activités antijansénistes à Madrid (1679‑1684), in Bull. de la commission royale d’histoire, CXVIII (1953), p. 66; Id., Le card. Jean Bona et le jansénisme, in Benedictina, X (1956), p. 99; Id., Le petit office de l’Immaculée Conception: prétendue approbation, condamnation (1678), tolérance (1679),in Academia mariana internationalis Virgo Immaculata, XVII (1957), p. 105 ; Id., Gilles Gabriellis à Rome (1679‑1683).Episode de la lutte entre rigorisme et laxisme, in Antonianum, XXXIV (1959), pp. 89, 94, 96‑99, 101‑104; sui conclavi dei 1689 e 1691: F. Petruccelli della Gattina, Hist. diplomatique des conclaves, III, Paris 1865, pp. 321 S., 325, 344, 353, 374, 379, 391, 402. Sul ruolo rappresentato dal B. nella congregazione della «regali»: M. Dubruel, Alexandre VIII et la France, in Revue d’hist. ecclésiastique, XV (1914), I, pp. 296, 498; Id., Les congrégations des affaires de France sous le pape Innocent XI, ibid., XXII (1926), i, pp. 306 s.

G. PIGNATELLI


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